RADICALI ROMA

Le smart cities /3: Cultura e formazione digitale

Di Demetrio Bacaro.

Un equivoco nel quale si cade frequentemente, ascoltando o parlando di smart cities, risiede nell’ipotizzare che una città si consideri smart nella misura in cui si dota di innovazioni ICT; purtroppo questa sottovalutazione del vero ruolo della smartness la si riscontra anche nei programmi di sviluppo di molte amministrazioni locali; motivo per il quale ci si fregia di una qualche capacità innovativa in tal senso, magari semplicemente inserendo sensori di traffico o paline alle fermate.
In realtà una città intraprende il suo percorso verso un obiettivo smart (ricordo che si tratta sempre di un processo come già detto in una “puntata” precedente di queste chiacchierate e mai di un traguardo) solo se implementa l’intelligenza, l’interazione e lo sviluppo culturale dei suoi fruitori, residenti e non.
figura 1
L’intelligenza, si sa, viene molto supportata e nutrita dagli ambiti culturali. E qui bisogna intendersi e scrollarsi di dosso alcuni stereotipi. Fondamentalmente in una città moderna la alfabetizzazione culturale parte soprattutto dal superamento del digital divide da intendersi sotto un duplice aspetto. Se fondamentale appare implementare fino alla completa copertura territoriale l’accesso alla banda larga e WiFi gratuito, indispensabile è fornire a tutti i fruitori della città le conoscenze per accedere a quella inesauribile fonte di conoscenza e dibattito costituito dal web. Bene su questo secondo punto una statistica (Eurostat) non così datata (2012) l’Italia si piazza al 25esimo posto fra gli allora 28 Paesi dell’ UE come capacità di utilizzare un PC; solo il 60% fra i 16 e i 74 anni, contro una media europea di circa 80%.
figura 2
Se si considerano i “nativi digitali” si sale sì al 90% ma diventiamo 26esimi superati anche dalla Grecia e meglio solo di Bulgaria e Romania. In realtà quindi uno sforzo culturale necessario sarà rendere “abili” all’utilizzo della rete tutte le fasce degli utilizzatori della città, residenti e no. Mediante l’adeguato utilizzo di app e social network i cittadini potranno partecipare con appropriatezza alla fruibilità, alla condivisione e alla governance della città.
Quindi la “formazione digitale” dovrà essere posta in cima alla attività “culturale” di una città che sia in cammino nel suo progetto di essere smart ; e per dirla con Michele Vianello nel suo libro del 2010 “Cittadini e libertà di accesso alla rete”: “L’affermazione della Cittadinanza Digitale è la rinnovata frontiera di un moderno Welfare State che estende la propria positiva influenza anche al di là degli ambiti praticati tradizionalmente”.
Questo focus sulla necessità di una alfabetizzazione digitale in una città che si appresti a divenire smart, intelligente direi meglio e in Italiano, trascura naturalmente altri mille aspetti della cultura più globalmente intesa e magari ci torneremo su in qualche altra successiva chiacchierata (figura 3), ma mi pareva necessario sottolineare come ridurre il digital divide sia una necessità stringente per ottimizzare la fruibilità dell’ambiente urbano, delle sue ricadute pratiche qotidiane e culturali; come si affermi come una sorta di nuovo diritto urbano, foriero di partecipazione attiva e innovazione condivisa.
figura 3
Questa sfida, che in Italia e soprattutto a Roma, dovrà recuperare molti ritardi, potrà beneficiare del supporto delle strutture e dei programmi della UE, che proprio su questo peculiare aspetto ha stilato un piano “di lavoro per la cultura 2015-2018” che fissa quattro priorità per le politiche culturali dei 27 Paesi; il primo di questi punti si concentra proprio sullo sviluppo e l’incremento di una cultura accessibile ed aperta a tutti.
Aiutare Radicali Roma nella loro campagna sulla trasparenza, la democrazia partecipativa e la difesa del diritto alla conoscenza potrebbe costituire un modo intelligente per portare un tassello in un disegno di costruzione, di cammino verso una città davvero smart.