RADICALI ROMA

Noi Radicali vorremo un mandato liberale per il prossimo sindaco

Articolo di Massimiliano Iervolino e Francesco Mingiardi pubblicato su Il Foglio del 22 ottobre 2020

Partiamo dalla fine. Rispetto alle sfide tecnologiche e di modernizzazione urbana affrontate negli ultimi decenni dalle grandi metropoli, Roma è rimasta sostanzialmente immobile se non addirittura tornata indietro.

La mancanza di scelte strategiche sui nodi che determinano la qualità della vita in una metropoli, l’assenza di una pianificazione di medio-lungo periodo capace di protrarsi nei suoi elementi essenziali di giunta in giunta hanno relegato la Capitale agli ultimi posti di tutti gli indicatori di qualità della vita.

Roma ha conosciuto il peggiore di quello che Ernesto Rossi definiva “capitalismo inquinato”, in difesa di rendite e privilegi. Infatti, dalla chiusura del ciclo dei rifiuti alla qualità del lavoro, ai piani infrastrutturali di mobilità, siamo al cospetto di una città socialmente sbriciolata. Paradossalmente c’è un aspetto positivo in questa eterna indecisione che oggi, di fronte ai tanti bivi posti dalla pandemia, può tornare utile.

Se ciò che abbiamo sperimentato in questi mesi modificherà in modo permanente la struttura di tutte le città del mondo, allora abbiamo l’occasione per ripensare il futuro della nostra. I dossier che in questi anni come Radicali abbiamo tradotto in iniziative politiche sono ancora aperti e toccano i molteplici problemi romani.

Le grandi opere infrastrutturali per lo sport e la mobilità, sostanzialmente fallite grazie a appalti realizzati per essere sconfessati nei tempi e nei costi. Opere che hanno drenato miliardi a beneficio delle solite imprese.

E ancora, le rendite parassitarie: gabbie anti-concorrenza che soffocano un’economia romana completamente impaludata e antisociale, dal piccolo commercio alle concessioni balneari.

E poi l’elefante nella stanza di una macchina amministrativa arretrata con il suo sottobosco di burocrazie impenetrabili. Lo abbiamo visto nelle settimane tremende di marzo-aprile quando, mentre la sindaca rincorreva droni nei parchi, migliaia di anziani e malati sono rimasti isolati, sconosciuti agli stessi servizi sociali e assistiti in gran parte da associazioni di volontariato neppure coordinate centralmente. Lo vediamo anche negli interventi contro i baraccati, sgomberati di quartiere in quartiere come un macabro gioco dell’oca. Lo constatiamo nella gestione clientelare delle case popolari, assegnate nei decenni a chi oggi non ne avrebbe più diritto.

E infine le aziende pubbliche, su cui abbiamo tentato come Radicali, con il referendum per superare il monopolio Atac, di aprire un dibattito; colossi di debito pubblico che riducono sempre più i servizi periferici a una sorta di “privatizzazione” defacto, in cui il comune non ha più un reale controllo.

Oggi per Roma servirebbe quello che in termini strategici militari si chiama “salto della rana”, cioè un governo che con coraggio e capacità riesca a colmare il vuoto lasciato dalle giunte precedenti e che sappia immaginare soluzioni che tengano conto dell’incidenza della pandemia sulle consolidate carenze urbanistiche, di mobilità, sociali e occupazionali.

Una sfida enorme per la quale sono necessari poteri, riforme istituzionali e una classe dirigente di alto profilo capace di aprirsi alle esperienze civili fiorite a Roma in questi anni di non governo. La candidatura di Carlo Calenda – che si è definito da tempo un “socialdemocratico liberale” – può offrire a tutti noi un’occasione. Se sostenuta da un’ampia coalizione politica, civile e sociale, potrebbe essere un’opportunità per confrontarsi concretamente, in maniera post-ideologica, sul ruolo dello stato e sulla sua capacità di gestire e programmare lo sviluppo di una comunità.

Non sappiamo se Carlo Calenda correrà da solo per giocare la sua partita nazionale ma è certo che per il futuro di Roma è urgente che questo confronto si apra. Un confronto che, in nome del progresso, di servizi migliori e maggiori opportunità, può e deve cercare appoggio e empatia nei cittadini esclusi, non garantiti, che continuano a aumentare nelle tante città diverse di cui ormai Roma è fatta.