RADICALI ROMA

Ribaltiamo Roma

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di Simone Sapienza

[articolo pubblicato dalla rivista “Gli Asini”, febbraio 2019]

Le ultime elezioni politiche italiane sono state uno shock per buona parte dei democratici e dei progressisti. Forse lo sono state un po’ meno per noi romani, che due anni prima avevamo vissuto il risultato delle elezioni amministrative con la vittoria di Virginia Raggi: in quell’occasione, un’intera città, in modo quasi perfettamente trasversale tra ceti sociali e simpatie politiche, ha preferito affidare la propria vita quotidiana a chi non aveva alcuna esperienza piuttosto che alla classe dirigente – di destra o di sinistra – che l’aveva amministrata fino ad allora.
A distanza di due anni, l’incapacità della giunta a 5 stelle, la sua completa impreparazione a gestire la città più difficile e complessa d’Italia, è ormai evidente, e la sentenza di assoluzione in primo grado del processo Raggi non toglie certo i problemi dalle strade di Roma.
La Sindaca addita colpevoli e agita fantomatici nemici del cambiamento, ma in due anni Roma è caduta ancor di più in uno stato di degrado inaccettabile, per sé stessa e per il Paese. La situazione pregressa non può più essere un’attenuante che annulla le responsabilità politiche dell’attuale amministrazione, che vanno denunciate con chiarezza.
Oltre a questa profonda inadeguatezza di chi amministra, a Roma è anche evidente l’assenza di un’opposizione. Quella attuale, divenuta opposizione anche nel Paese, non riesce a svolgere alcun ruolo di rilievo, e quindi nemmeno a riconquistare le parti sociali che evidentemente ha perduto. Cresce l’idea che al fallimento della giunta 5 stelle seguirà il successo di una destra salviniana come ultima dimostrazione di un distacco popolare dall’intera classe dirigente democratica, che in questa città non riesce a ritrovare alcuna empatia con i cittadini, al di fuori dai primi due municipi del centro.
Appare evidente come il destino della capitale sia il riflesso di ciò che accade nel paese, e un’analisi lucida e completa non può prescindere da questa profonda correlazione. Chi, come Renzi, negli anni scorsi lo ha fatto, illudendosi di poter affrontare Roma come una semplice grande città italiana, ha legato il suo destino all’insuccesso di questa scelta.
Roma è un banco di prova per il governo di realtà complesse, in un Paese che vive in una continua simulazione di emergenze e promesse, illusioni, disillusioni e rabbia.
Ma nessun paese si solleva mentre la capitale affonda. Solo in Italia siamo tanto ottusi da non capirlo, presi da un lato dal campanilismo dei parlamentari, dall’altro da una classe politica romana indolente. Nessuna grande forza politica sembra aver capito che senza Roma il paese va allo sfascio.

Roma può e deve proporsi come promotrice di un processo di “ricucitura” di una società italiana incattivita, rabbiosa e sfiduciata, così come descritta nell’ultimo rapporto del Censis: una ricucitura che può partire solo dalle città, luogo dove sono più evidenti le distanze tra centro e periferie e dove è enorme la disparità, oltre che di reddito, anche di accesso a conoscenza e partecipazione.
Se è vero che questa città non ha bisogno di un governo della destra populista, è altrettanto vero che un “fronte comune contro i barbari” risulta altrettanto inutile, perché la vecchia classe dirigente non può vivere nell’illusione di sopravvivere ai propri epocali fallimenti semplicemente additando i fallimenti, o le contraddizioni, o le mancanze, di chi è venuto dopo. Io non credo la sinistra abbia perso il consenso in questa città per un problema di comunicazione o perché non sia stata compresa. Io credo che sia stata capita benissimo e per questo abbia perso.
L’unica cosa di cui Roma ha davvero bisogno, è un intervento chirurgico al suo apparato neuronale: in questi casi, si sa, ci si affida a uno staff medico che gode di fiducia, idee chiare, professionalità ed esperienza. Ci sono tre milioni di romani che attendono dalla politica una proposta di intervento chiara, seria, coraggiosa, capace non di promesse, né di continui accordi ad esclusiva di categorie, lobby e clientele, ma di soluzioni tangibili e reali: finché qualcuno non si farà carico di questo ambizioso progetto, il declino della capitale non avrà fine.
Questa città ha un disperato bisogno di un dibattito vero fuori dallo scontro partitico, di un luogo nel quale riflettere sulle soluzioni. Per capire che le soluzioni ci sarebbero, ma nessuno ha il coraggio di discuterle, basti considerare, ad esempio, tre nodi che gravano sul quotidiano di ogni cittadino: i rifiuti, la mobilità, il lavoro.

Partiamo dal dramma più sentito, che ormai è diventato motivo di “fama” internazionale per questa città, e che in queste settimane non accenna a scemare, ma sembra addirittura acuirsi: lo scandalo dei rifiuti. In questi mesi abbiamo assistito a rimpalli continui tra Comune e Regione e tra maggioranza e opposizione, ma nessuno che abbia avuto il coraggio di dire la verità: dalla chiusura di Malagrotta, l’intero ciclo dei rifiuti è rallentato perché Roma non ha una discarica di servizio. Roma paga altre città semplicemente per fare quello che non ha il coraggio di fare. Ma tra l’utilizzo della discarica unica gestita da Cerroni e la situazione attuale in cui la capitale dipende da altre città pagando un prezzo altissimo, c’è un mare di soluzioni: tanto per cominciare l’utilizzo di quella tecnologia che altri oggi adoperano facendola pagare a caro prezzo. Il punto focale, di fronte a soluzioni che esistono ma determinano delle scelte impopolari, è la credibilità dell’amministrazione di andare in una zona di Roma e spiegare agli abitanti che una discarica di servizio oggi può funzionare in sicurezza, e isolata dal resto. Incentivarli, ricompensarli, renderli partecipi di questo processo di cambiamento e come ultima ipotesi farla comunque, perché è indispensabile. Invece l’interazione tra chi sa quello che deve fare e chi si affida convinto da un progetto e da una visione globale non avviene, perché chi dovrebbe sapere cosa serve alla città in realtà brancola nel buio, e questo i cittadini lo percepiscono. Ma soprattutto, un’operazione di questo tipo richiede un requisito fondamentale: l’autorevolezza. Ecco allora che il tema rifiuti chiama in causa qualcosa di più profondo, forse centrale a Roma e non solo. A furia di gridare addosso alla politica e alle istituzioni, i cittadini non danno più credibilità ai loro rappresentanti se invece di contestare devono governare. Chi può avere la forza di convincere un quartiere che una discarica di servizio è utile e non sarà il solito “danno” e che le promesse saranno mantenute?
Nel frattempo, non si aumenta la differenziata, esperimenti ormai in stato avanzato in tante altre città come il vuoto a rendere non sono neppure presi in considerazione, e ormai non serve arrivare ad Amsterdam per scoprire innovazioni tecnologiche come l’interramento dei cassonetti. Ma l’unica cosa che riusciamo a “riciclare” a Roma invece sono gli impianti che fanno altro rispetto a ciò per cui sono nati. Basti vedere il Tmb salario ridotto a un sito di stoccaggio anziché impiegato per trattare meccanicamente e biologicamente i rifiuti che, saturo e tenuto male, ha preso fuoco pochi giorni fa. Una giunta che non ha paura del consenso, dovrebbe adoperarsi perché Roma, e attraverso il contratto di servizio AMA, si doti di impianti di proprietà a servizio sia della raccolta differenziata che dell’indifferenziata, per chiudere il ciclo dei rifiuti nel rispetto del principio di prossimità e di autosufficienza.

Passiamo alla mobilità. Non è un tema da addetti ai lavori. La mobilità incide su quanto di più prezioso hanno gli esseri umani: il tempo. Un programma sulla Capitale dovrebbe partire da qui, cioè da provvedimenti che restituiscano il tempo ai romani.
In una città come Roma, dove i cittadini si spostano nel traffico quasi esclusivamente con mezzi propri, lontanissima dalle medie europee di utilizzo dei mezzi pubblici, sarebbe lecito aspettarsi dall’amministrazione un’idea nuova di città, un progetto complessivo, qualcosa di più di nuovi divieti, strisce blu ed ecopass, misure che acquisterebbero senso solo se inserite in un piano di revisione globale. Invece nulla sembra realmente muoversi. Il servizio di trasporto pubblico è condannato al declino dallo stesso concordato che dovrebbe evitare il fallimento – già nei fatti – di Atac. Gli autobus, più inquinanti di decine di macchine messe insieme, continuano a servire sempre meno in termini di chilometri e qualità del servizio, e un piano non c’è nemmeno per la Metro C, per la quale si chiede di andare avanti con altre centinaia di milioni di euro senza sciogliere i nodi progettuali che, sin qui, ne hanno decretato costi quintuplicati e decenni di lavori.
In una situazione tanto compromessa, l’attuale amministrazione ha mancato anche l’occasione di sfruttare il progetto dello stadio della Roma per rilanciare, partendo da quadrante di Tor di Valle, un’attività di pianificazione complessiva. È significativo il fatto che proprio l’impossibilità di andare e tornare dallo stadio senza gravare sui sistemi di mobilità esistenti e già saturi stia determinando la non fattibilità del progetto.
Roma continua a pagare l’assenza di una seria attività pubblica di progettazione e programmazione che, data l’arretratezza infrastrutturale accumulata nei due scoli precedenti, punti a chiudere il gap investendo su sistemi innovativi, flessibili e leggeri, ispirati alle più attuali smart technologies e sulla preventiva e meticolosa rilevazione della domanda di mobilità. Ma Roma sconta anche la mancanza del coraggio di prendere di petto la sua principale azienda e riformarla ammettendo il suo irrimediabile fallimento. Anche questo era il senso del nostro referendum “Mobilitiamo Roma” dell’11 novembre scorso che l’amministrazione Raggi ha profondamente boicottato per poi rivendicare una misera vittoria per il mancato raggiungimento del quorum. Proprio il quorum che la stessa amministrazione ha tolto da tutte le consultazioni referendarie tranne, guarda caso, l’unica indetta. Resta, in ogni caso, che sono stati ignorati del tutto i 400mila romani che si sono recati alle urne, di cui il 75% ha barrato la casella del Sì.
Noi crediamo che l’amministrazione debba tornare a fare a pieno la sua attività di programmazione, controllo e sanzione, senza la pressione di una società come Atac che, per posizione di rendita, ha indirizzato il Comune a scelte utili solo al suo tornaconto aziendale, nel disprezzo degli utenti, che giustamente sono furiosi. L’erogazione del trasporto deve essere messa a gara tra più operatori, di modo che l’amministrazione non sia più ricattata da un’unica grande azienda, e possa esercitare il ruolo di governo che le spetta.

I dati sui rifiuti e sulla mobilità ci dicono che Roma è una città in cui si vive male, ed è innegabile. Ma il problema non è solo questo: Roma è anche, tristemente, una città che non guarda al futuro, e a dimostrazione di questo ci sono le nuove generazioni, che già da tempo hanno cominciato a emigrare. Il tasso di disoccupazione dei giovani romani (17,3%) è superiore di ben 7 punti percentuali rispetto a quello dei coetanei milanesi (10,3%). Le cause sono molteplici: bassissimo livello d’istruzione, mancanza di qualifiche professionali di alto livello, bassissima domanda da parte delle imprese romane (che a loro volta sono sempre più incentivate a lasciare la città), difficile transizione dalla scuola al lavoro, poca incidenza del settore terziario avanzato rispetto a quello dei servizi e alla persona. Serve un sistema produttivo più competitivo nei settori innovativi aumentando la qualità dell’offerta turistica e del tempo libero, la qualifica professionale degli addetti e il livello d’istruzione dei giovani. Perché Roma ha un incredibile patrimonio umano, ma tranne che nell’industria farmaceutica e aerospaziale non riesce a fare sistema con il resto. Addirittura il turismo viene vissuto sugli allori di una specie di adulazione parassitaria dell’antico che sta cadendo a pezzi.
Roma ha enormi università con un numero incredibile di studenti, ricercatori e docenti, ha un numero altissimo di funzionari e corpi diplomatici, la classe dirigente di un paese del G7, ed è uno dei comuni agricoli più grandi d’Europa: quanto spazio, dunque, ci sarebbe per lo sviluppo di sinergie in grado di superare il lento ma stagnante declino che vive la città? Perché ci sia lavoro, servono investimenti. Perché ci siano investimenti, ci deve essere una città che li ricerca, non che li respinge.
Sembra l’uovo di colombo, eppure questa città fa di tutto per evitare che qualcuno venga a investire qui un po’ di soldi.

Su queste problematiche (rifiuti, mobilità e lavoro) come su molte altre grandi questioni, la giunta Raggi ha agito in sostanziale continuità col passato non determinando alcun cambiamento, e non modificando quella visione miope e limitata che ha condotto al declino, senza distaccarsi dal metodo radicato e distruttivo con cui le amministrazioni hanno agito fino ad oggi.
Come Radicali, abbiamo deciso di affrontare questi problemi uscendo innanzitutto dai retaggi culturali e dalle ideologie che da tempo non governano più le grandi città, provando a offrire proposte precise per aprire un dibattito, nel caso della mobilità addirittura referendario, e per far crescere la consapevolezza di soluzioni alternative a quelle finora paventate come le uniche possibili. Di fatto, questi tre enormi temi, si potrebbero affrontare. Ma servirebbe innanzitutto un sistema che colleghi le risorse esistenti in una pianificazione di obiettivi che duri decenni, più dunque, di un mandato elettorale. Serve una visione a lungo termine, una classe dirigente credibile, un progetto ben piantato per terra ma con lo sguardo rivolto al futuro, oltre alla ferma volontà di non ripetere gli errori del passato.
Nessun movimento, nessun partito, nessun leader oggi può ambire da solo a presentare un progetto del genere. Per ribaltare Roma serve con urgenza un percorso di ascolto, approfondimento e aggregazione intorno a riforme puntuali sui principali temi nevralgici della Città: da quelli che abbiamo appena sviscerato, al problema della casa e dell’emergenza abitativa, allo sviluppo economico, alla povertà urbana fino all’accoglienza e all’inclusione degli stranieri. Un progetto che non viva con timore il rapporto con i cittadini messi a dura prova dalla crisi e dalla paura del futuro, ma che al contrario si fondi sull’allargamento dei diritti politici di partecipazione democratica.
Un progetto aperto a forze civili, al mondo accademico e professionale e a tutti quelli che vorranno contribuire, uscendo dalle rispettive istanze identitarie, per fare rete sulla base di un’idea di comunità. Saper andare oltre le mere identità elettoralistiche, cedere sovranità e riconoscibilità a favore di un progetto democratico e civile, di una battaglia, in questo caso di una proposta di Governo, è tutto ciò che da sempre il metodo radicale insegna e attua. Ed è necessario oggi più che mai, per dare una risposta corale all’attacco alla democrazia da parte della maggioranza Lega-5Stelle, all’inadeguato governo di Roma da parte della giunta Raggi, alla mancanza di un’opposizione democratica e alla necessità di una politica nuova, efficace e credibile. Perché un’altra Roma possa dimostrare che nonostante tutto c’è, è viva e vuole crescere.