RADICALI ROMA

Rom: il terreno spianato alla ruspa di Salvini

di Simone Sapienza

Non c’è tema che in Italia riesca a raccogliere un consenso così trasversale, per ceto sociale e orientamento politico, come quello del disagio nei confronti dei rom. Se vogliamo uscirne, e credo sia l’unica strada ragionevole da intraprendere, inizierei evitando di accusare la maggioranza degli italiani di mancanza di buoni sentimenti. Più che accettare la discussione tra umanitaristi vs sicuritari, servirà ammettere le assenze culturali e politiche che ha contribuito a creare quel terreno spianato dove oggi Salvini cavalca nella sua volata.

Assenza culturale. L’immagine dei rom è ricoperta da storie, dicerie e fatti personali di ciascuno. Quello che più conta, però, è che la maggioranza degli italiani sia convinta che i rom (lo 0,04% della popolazione italiana) siano coloro che vivono nelle baraccopoli o coloro che appartengono a famiglie criminali come i Casamonica (su cui dal Ministro dell’interno si attendono fatti, non solo proclami, così come ci auguriamo vengano prese contromisure adeguate per fermare il caporalato gestito dalle aziende italiane).
Nella realtà, i baraccati sono solo il 14% del totale: del restante 86% che vive nelle case, lavora o studia, sembra non accorgersi nessuno. Per cambiare l’immagine che i cittadini italiani hanno dei rom è necessario un impegno culturale diverso, che parta dalla politica e coinvolga tutti, compreso quell’86% già integrato. Del resto, fino agli anni ’90, meno del 30% degli italiani era favorevole alle unioni gay.  Ci vuole tempo, orgoglio e impegno. Le nuove generazioni ce la stanno mettendo tutta e vanno aiutate anche dai media.

Assenza politica. Dunque, il problema è quel 14% di baraccati. Ma a chi convengono i campi rom? Storicamente, agli ambienti più vicini alle cooperative che gestiscono appalti milionari per i servizi. Ma anche a chi trae vantaggio elettorale dal montare dell’emergenza e dell’esasperazione sociale. L’idea che le istituzioni debbano gestire i baraccati rom con dei campi monoetnici parte da Roma e dalla giunta Rutelli. Ed è tutta una storia sbagliata. È questa storia che lega il Veltroni dell’ordinanza con affidamento diretto senza gara per la costruzione del grande campo rom di Castel Romano e il ministro Maroni, che decreta lo “stato di emergenza” – strumento usato durante le calamità naturali – consentendo così di drenare decine di milioni di euro per costruire – in barba alle normative, L’Aquila docet – altri mega campi. Peccato che, evidentemente, l’unica vera emergenza fossero gli appalti, dal momento che tutti i baraccati rom della Capitale messi insieme non riempirebbero nemmeno un distinto dello Stadio Olimpico.

A distanza di un decennio, la situazione è rimasta immutata e, cosa ancor più grave, non ci sono miglioramenti in vista. Nel frattempo, in quasi tutte le maggiori città europee, i campi rom sono già stati superati o si stanno svuotando, sono molte le forme di “housing sociale” possibili alternative ai campi e adottate con successo. Le persone di etnia rom presenti in Spagna, Francia o Portogallo, non sono diverse da quelle che vivono in Italia. Sono diverse le politiche adottate. Così come non ci troviamo di fronte un paese a maggioranza razzista. Ma serve una classe politica diversa che sappia spiegarsi con degli esempi, che non abbia il peso di fallimenti passati e che sia tanto coraggiosa da proporre un racconto culturale innanzitutto veritiero e abbia la credibilità per aggregare su soluzioni concrete.

Come vedete anche il popolo rom serve a paradigma della fase storica in cui viviamo. Per questo sì, siamo tutti rom.