RADICALI ROMA

1980, Roma, New York

di Marco Enrico Tosi

Un anno che segna irrimediabilmente molti miei coetanei, io fra loro.

Due anni dopo l’omicidio Moro (9 maggio 1978), la realtà nella quale i miei amici ed io ci troviamo è – lo pensavo già allora, lo penso ancora oggi – una realtà che ti toglie la voglia di vivere, di studiare, di capire, di lottare, persino di amare. Lo so bene, frequento il Liceo, ho diciassette anni.

La scia di sangue viene da lontano, e già l’anno prima è entrata nel mio quartiere, Montesacro/Talenti. Quel serpente velenoso si materializza il 10 gennaio del 1979 con l’omicidio di Stefano Cecchetti, mio compagno di scuola alle Medie, ragazzo non politicizzato, raggiunto da proiettili sparati da un’auto in corsa (che coraggio, compagni!) solo perché chiacchiera con un paio d’amici fuori da un bar considerato di destra. Un bar a duecento metri da casa mia. Stefano, perso nel rumore di fondo, come quando tiri un piccolo petardo in un vicolo, alle 24.00 del 31 dicembre.

Sergio Mattarella, 39 anni, tiene in braccio il fratello Piersanti.
Sergio Mattarella, 39 anni, tiene in braccio il fratello Piersanti.

Il 1980 si apre con una serie di morti ammazzati. Il giorno dell’epifania, il 6 gennaio, la mafia uccide a Palermo Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Sicilia. E’ appena entrato in macchina con la moglie e i due figli, per andare a messa. Tra i primi ad accorrere sul posto, il fratello minore, Sergio. Il 06 febbraio il serpente torna a Roma, i NAR uccidono Maurizio Arnesano, poliziotto Salentino di 19 anni, per rubargli il mitra. Il 12 febbraio le Brigate Rosse uccidono Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, freddato alla Sapienza, sulle scale della facoltà dove insegna. Accanto a lui una giovane assistente, Rosy Bindi.

Sempre a Roma, dieci giorni dopo (22 Febbraio), viene ucciso a casa un mio compagno di scuola, Valerio Verbano, militante di Autonomia Operaia. Seppure su differenti sponde politiche, è qualcuno che considero un mio compagno e quando capita ci si confronta, si parla. Le modalità del suo omicidio sono crudeli, in modo inimmaginabile. Colpito in ingresso, appena rientrato da scuola, il pranzo caldo in tavola, di fronte ai genitori legati e imbavagliati sul divano. Figlio unico. Quando entra in casa e urla “sono a casa!” si stupisce che nessuno gli risponda, intuisce qualcosa, fa per uscire ma è troppo tardi.

Tre giorni dopo, nel giorno del suo diciannovesimo compleanno, si tengono i funerali, al Verano. Coi miei compagni di scuola siamo lì, e quel giorno conosciamo per la prima volta l’ottusa violenza dello Stato. Nonostante i tentativi di mediazione di Marco Pannella, Emma Bonino e altri parlamentari, la Questura vieta un corteo che è già partito e fa caricare i manifestanti, fin dentro il cimitero.

Nei giorni successivi ne parlo coi miei amici, sappiamo bene che la risposta ci sarà, la logica è quella. La mattina del 12 Marzo alcuni militanti di sinistra, travestiti da infermieri, escono da un’ambulanza e freddano sotto casa un militante di Destra molto noto nel quartiere e in tutta Roma, Angelo Mancia. Questo accade esattamente di fronte al mio liceo. Mancia sta inforcando il suo motorino per recarsi al lavoro, presso il Secolo d’Italia.

Il 19 marzo 1980 si dimette il governo presieduto da Francesco Cossiga (Democrazia Cristiana). Il 28 marzo i carabinieri fanno irruzione nel covo genovese delle Brigate Rosse, uccidendo quattro brigatisti. Cossiga presenta un nuovo governo il 5 aprile.

Il centenario-gianni-rodari-firenze14 aprile muore a Roma Gianni Rodari, 59 anni.

Il 25 aprile il serpente arriva addirittura a casa mia. Allo scoccare della mezzanotte due bottiglie molotov raggiungono le finestre del salotto, e le persiane di legno prendono fuoco. Devo alla mia abitudine di studiare dopo cena (ho bisogno di silenzio) la salvezza mia e della mia famiglia. Sveglio mio padre e insieme spegnamo senza difficoltà le fiamme, con il tubo per innaffiare il giardino. Una famiglia di sinistra a pianoterra, nel cuore di un quartiere nero, un obiettivo facile.

Il 28 maggio il giornalista Walter Tobagi esce di casa a piedi, porta la figlia all’asilo. Viene ucciso da alcuni militanti di estrema sinistra della brigata “XXVIII Marzo”, un nome che si rifà direttamente ai fatti di Genova, di appena due mesi prima. Quello stesso giorno a Roma viene ucciso dai NAR il poliziotto Francesco Evangelista, chiamato Serpico in riferimento al film del 1973, di fronte al Liceo Giulio Cesare.

E intanto Roma è inondata di eroina. Due miei compagni di scuola, Alberto e Letizia, muoiono di overdose. Entrambi bellissimi. Solo quel giorno scopro che si fanno.

Meno di un mese dopo, il 23 giugno, a Viale Jonio, sempre nel mio quartiere, un uomo è in attesa alla fermata dell’autobus, il 391. E’ in piedi, tiene una valigetta con la mano destra. Due ragazzi in moto raggiungono la fermata, uno dei due smonta dalla moto mentre l’altro lo aspetta, a motore acceso. L’uomo non li nota. Il ragazzo gli si avvicina da dietro, estrae una pistola e la punta alla nuca dell’uomo. L’uomo è il magistrato Mario Amato, 42 anni. Il ragazzo si chiama Gilberto Cavallini, 27 anni, l’amico si chiama Luigi Ciavardini, 17 anni e nove mesi, entrambi appartenenti ai NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari. Ora in quel punto c’è un piccolo monumento e una lapide, e ogni 23 giugno il figlio Sergio, allora un bambino di sei anni, ricorda il padre.

Sergio Amato, 23 giugno 2020, foto Marco Tosi
Sergio Amato, 23 giugno 2020, foto Marco Tosi

Mario Amato, che indaga sul terrorismo nero, che ha ereditato le indagini del magistrato Vittorio Occorsio, ucciso dal fascista Pierluigi Concutelli, a viale Mogadiscio, quartiere Trieste, la mattina del 10 luglio 1976. Mario Amato, che ha chiesto inutilmente un’auto blindata, o almeno un autista, abbandonato dai suoi superiori, contigui alla destra eversiva (verità processuale, non mia).

Quattro giorni dopo il suo omicidio, un aereo della compagnia ITAVIA cade in mare nei pressi dell’isola di Ustica, 81 morti, nessun sopravvissuto. Si parla di un conflitto aereo tra MIG libici e aerei Francesi e americani, si parla di una bomba a bordo. Un botto enorme di cui non è opportuno parlare, ce ne vuole un altro più grande.

Il 02 Agosto mi trovo alla Stazione Termini, sul binario del treno per Lecce. Finalmente in vacanza! La situazione però è strana, i treni non si muovono. Ad un certo punto uno strillone del Paese Sera passa con un fascio di giornali sotto il braccio, urlando: “strage alla stazione di Bologna, 43 morti!” Mi viene da piangere. Tiro fuori 200 lire e ne compro una copia, non si sa molto. Poi, gradualmente, le notizie arrivano, il quadro si dettaglia meglio, i morti alla fine sono 85. Da quel giorno in poi, per anni, non si parla più di Ustica. L’obiettivo è stato raggiunto.

Ma a 17 anni vai avanti! Tante esperienze: in luglio in campeggio in Val d’Aosta, poi in autostop fino a Livorno e da lì in traghetto fino all’isola di Capraia, in campeggio libero. Poi di nuovo in autostop a Roma. E da lì in treno a Napoli, poi in traghetto fino alle Isole Eolie, su in cima fino alla bocca dello Stromboli e poi Vulcano, Lipari e la splendida solitudine di Filicudi, isola senza corrente elettrica nel cuore d’Europa. A settembre sono nuovamente a Roma.

E il 27 settembre si conclude l’esperienza del governo detto Cossiga bis. Il compito di formare un nuovo governo viene affidato ad Arnaldo Forlani (DC) che vara il nuovo esecutivo il 18 ottobre. Lotta fra correnti nella balena bianca.

Pochi giorni prima, il 30 settembre, una nuova televisione comincia a trasmettere, per lo più vecchi film e situation comedies. Si chiama Canale5, guidata da un imprenditore milanese per noi sconosciuto, un certo Silvio Berlusconi; si dice sia molto amico di Craxi.

L’autunno scivola verso l’inverno. Manca un mese a Natale. Il 23 Novembre la terra trema in Irpinia. Non so neanche dove sia. Nono grado della scala mercalli, interi paesi scompaiono. I morti, alla fine della conta, sono 2900. A scuola organizziamo un Centro di raccolta di coperte, cibi in scatola, medicine, anche giocattoli. La gente del quartiere collabora, porta di tutto. Un giorno, sistemando una coperta ci trovo dentro una boccetta di profumo. Un’esperienza toccante, una lezione di vita. E poi la scuola rimane aperta nel pomeriggio! Una novità enorme per noi, un punto di incontro nuovo, che non sia il solito muretto, sempre esposto alle intemperie e al rischio di una pistolettata. Ma non dura. Anche la solidarietà finisce, e il Centro chiude. In Irpinia continua a mancare di tutto. Vado, con una decina di amici, a donare il sangue al Policlinico, abbiamo letto che serve. La fila è lunghissima, commovente. Aspettiamo ore, seduti per terra, e alla fine giunge il nostro turno. L’infermiere che ci accoglie ci squadra, occhiaie e sguardo stanco: “ma ce l’avete diciott’anni?” Noi rispondiamo di no. “E allora nun potete donallo er sangue. Annate a casa”.

A casa, scopriamo di avere, finalmente, qualcosa di cui essere orgogliosi, un Presidente vero, capace di denunciare lo stato di abbandono nel quale versano i cittadini sopravvissuti dell’Irpinia, immediatamente declassificati a “terremotati”, una parola priva di dignità, una condizione quasi infamante, un marchio che in un Paese come il nostro ti può rimanere appiccicato per decenni.

“Annate a casa”… un luogo sicuro, dove ascolto la mia musica, che sta cambiando e cambierà, molto, con la new wave, il punk, solo qualche anno dopo. Ma non lo so ancora, il mio orizzonte è ancora quello di Guccini, De André, Finardi, De Gregori, Claudio Lolli, Pierangelo Bertoli, Pino Daniele e naturalmente i Beatles.

L’8 dicembre tocca a John Lennon, ai margini del Central Park. Il 1980 si chiude così.

Ma i mind games continuano.

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