RADICALI ROMA

Il Giardino della Basilica di Sant’Alessio a Roma anche quest’anno ospita la “Pirandelliana” di Marcello Amici.

Il Giardino della Basilica di Sant’Alessio a Roma anche quest’anno ospita la “Pirandelliana” di Marcello Amici.

 

di Lucio De Angelis

 

Anche quest’anno “Pirandelliana” è la rassegna di teatro che la “La bottega delle maschere” di Marcello Amici mette in scena all’Aventino fino all’8 agosto 2009, nel Giardino della Basilica di Sant’Alessio.

 

L’evento contiene tre commedie dell’autore siciliano: “Tutto per bene”, “Pensaci, Giacomino !” e “Il giuoco delle parti”.

 

Il calendario vede fino al 2 agosto:

– Tutto per bene (il martedì, il giovedì, il sabato);

– Pensaci, Giacomino! (il mercoledì, il venerdì, la domenica);

ed

– Il giuoco delle parti (dal 4 all’8 agosto), i cui incassi saranno totalmente devoluti in beneficenza.

 

Marcello Amici, Marco Vincenzetti, Anna Varlese, Antonella Alfieri, Umberto Quadraroli, Cristina Chiriac, Stefano Capecchi, Luca Ferrini, Elisa Ciocca, Simone Serini, Francesca Iannelli e Carlo Bari, sotto la direzione artistica di Natalia Adriani sono in scena con questa rassegna per l’undicesimo anno.

 

L’aria che si respira nella manifestazione è tragedia ironica e commedia tragica. E’ teatro pirandelliano con una messinscena sotto la luna come un misterioso e fantomatico concerto a più voci.

 

“Pirandelliana 2009” è una sperimentazione completa sulla drammaturgia dell’uomo del Kaos. Amici ed i suoi attori ne offre sempre un’interpretazione fedele al testo, formando un ensemble per niente propenso a riletture “effervescenti (?!)”.

 

Ad oggi ho visto le prime due di cui scrivo gli abstract:

 

TUTTO PER BENE

 

Martino Lori ha sempre ignorato il tradimento della moglie morta, ormai, da sedici anni e ignora di non essere il padre di Palma. Tutti, intorno a lui, hanno sempre pensato il contrario: Martino, dicono, ha accettato di rappresentare la commedia per sfruttare la situazione.

L’uomo apprende dell’infedeltà della moglie proprio dalla figlia o meglio, da colei che fino a quel momento egli ha creduto sua figlia. Esplode in Martino un’ansia di ribellione e vendetta, il suo sdegno chiede in qualche modo giustizia: ma chi potrebbe credere alla sua angoscia per un’offesa recatagli tanti anni prima?

Non si vendicherà, tutto si accomoderà, tutto si concluderà nel migliore e più beffardo dei modi: continuerà a comportarsi, stavolta veramente consapevole, come prima. Tutto per bene!

 

Un fondale pende quasi al mezzo della scena, come quella gran tela in “Diana e la Tuda”. Le zone oscure recintano l’oltre, la scena negata, l’inconfessato e l’indicibile, dove Martino Lori, come Donna Fiorina, cerca con gli occhi nell’ombra addensata. Ferito a morte dalla verità, l’uomo non la rifiuta, perché ha recitato, inconsapevole, la parte in un copione sconosciuto, come una maschera nuda senza volto. È qui la grandezza di Pirandello: cercare di capire! Solo chi comprende può accettare di stare al giuoco impostoci, spesso beffardo e crudele. Bianco e nero nei costumi e tra le linee prampoliniane della scenografia, un pizzico di viola e la musica di Chopin.

Come Proust, anche Pirandello ha dato sostanza drammatica al sentimento del tempo, quando esso ha trasformato in farsa la tragedia: non si fanno drammi con un mucchio di ceneri! Dentro questa situazione c’è già la psicanalisi di Freud e lo “slittamento” di Pinter. Il tempo cambia gli spiriti e i destini. È il teorema morale, l’assunto metafisico della messinscena. Per dimostrarlo Pirandello utilizza un ingenuo con una facoltà di abbagliamento incredibile, una creatura come L’idiota di Dostoevskij. L’epilogo non è condotto linearmente, ma con scarti di tono da un parossismo più che espressionistico ad una progressione musicale, fino al vero finale con la quarta parete che, come un bozzolo, inghiotte di nuovo la vicenda nel suo mondo di mistero e con l’Autore, stavolta al femminile, inquietante pietra di paragone o personificazione della verità e della coscienza. Non è il solito passaggio graduale e progressivo da un mondo arido, sostenuto dall’implacabile giuoco dialettico, dalla parabola, ma una storia vista ed espressa con occhi più umani, con più profonda commozione, con il tributo del desolante sfacelo di un povero impiegato.

 

 

PENSACI, GIACOMINO!

 

Agostino Toti, anziano professore di ginnasio, prende moglie per far dispetto al Governo che lo ha tenuto per trentaquattro anni a stecchetto con un misero stipendio. Sposa la giovane Lillina, cui assicura di fare da padre e nient’altro, messa incinta dal suo ex alunno Giacomino Delisi, per obbligare il Governo a continuarle a pagare la pensione, per almeno altri cinquant’anni dopo la sua morte.

La moglie giovane potrà continuare a vedere il suo Giacomino. È un tradimento? Il professor Toti l’ha messo nel conto. Le corna gli assicureranno la pace in famiglia. Del resto, il tradito non sarà lui che alla giovane moglie può fare solo da padre, ma il marito che, in realtà, lui non è, non vuole e non può essere.

La gente ride e si scandalizza. Giacomino non sopporta più quella situazione paradossale di menage a trois, per cui abbandona Lillina e il piccino e si fidanza per tornare nell’ordine e mettere su casa propria. Il professor Toti, prima con le più tenere preghiere, poi con serie minacce – Pensaci, Giacomino! – l’obbliga a tornare da Lillina e dal suo bambino.

 

È il trionfo della spontaneità, della follia, dell’irrazionale. Irrazionale è tale solo in confronto a ciò che si è soliti chiamare ragione. In sé, è ragione, è logica anch’esso.

Ciò che si chiama ragione non è una delle tante forme, delle tante ragioni possibili, che ha, certo, diritto di vivere e di affermarsi, ma ha torto, quando vuole negare la possibilità e il diritto di altre forme, di altre ragioni?

La logica pirandelliana tocca il suo culmine in questo straordinario lavoro in cui si vede un marito forzare l’amante della moglie a tornare alla donna abbandonata e, quel che è più, ad avere ragione di agire così. Mai certa relatività delle costruzioni umane, che di fronte alla ragione e al comune diritto appare, e deve apparire, assurdità e follia, era stata sostenuta con violenza più acerba, più aperta e più lucidamente logica dall’Autore di Maschere nude.

La regia ha colto, lavorando alla siciliana, i tratti umoristici della commedia e li ha estesi a quelli ombrosi, sghembi e ironici scovati tra le pieghe della messinscena. È un Pirandello fatto di apparente genuinità popolaresca, ma è sempre il raffinato, ironico e amletico scrittore pieno di rimandi e di sottili allusioni. Il sipario si apre su una scena futurista che rende subito evidente lo strano personaggio che emerge dalle atmosfere irrazionali dell’uomo di Girgenti, pronto a mettere in discussione, a inquadrare gli squilibri e quell’intricato mondo di passioni e doveri, di sostanza ed apparenza, che è la famiglia “allargata” in un interno.

Commedia morale dunque, umoristica ma anche grottesca, con un personaggio che affronta l’ipocrisia del mondo senza la maschera di un ruolo sociale, quello di marito, un ruolo di cui si è liberato subito, dichiarando di non volerlo essere. Mozart ha scritto le musiche.

Ma siamo certi che, dando un’anima a una bislacca marionetta, non si superi il limite, proprio di quel paradosso al quale ci si vuole sottrarre? In altri termini, l’amarezza della commedia, e quindi della sua umanità, non derivano forse dal contrasto tra uomini e burattini? E s’è mai visto un più tragico fantoccio del professor Agostino Toti, di questo dolce apostolo dell’assurdo, così liricamente pervaso della sete di stravagante carità?

 

 

PIRANDELLIANA 2009

XI Edizione

 

TUTTO PER BENE

PENSACI, GIACOMINO!

IL GIUOCO DELLE PARTI

 

di Luigi Pirandello

 

con

Marcello Amici, Marco Vincenzetti, Anna Varlese, Antonella Alfieri, Umberto Quadraroli, Cristina Chiriac, Stefano Capecchi, Luca Ferrini, Elisa Ciocca, Simone Serini, Francesca Iannelli, Carlo Bari

 

Scene: Marcello de Lu Vrau

Costumi: Natalia Adriani 

Disegno luci e fonica: Giuseppe Tancorre

Regia: Marcello Amici