Nella stessa giornata in cui Piero Fassino parlava della necessità di seri correttivi alla Finanziaria e negava che tutto si riducesse a un problema di comunicazione, Romano Prodi, per parte sua, faceva propria, anziché respingerla, la definizione di «classista» (ma nel senso di «giusta», precisava subito) con cui gli oppositori, e anche alcuni della maggioranza, bollano quella stessa Finanziaria. Difficilmente questa dichiarazione del premier sarà in grado di arginare lo scontento che, secondo i sondaggi, si è diffuso nel Paese. In effetti, non sembra proprio che ci siano stati errori di comunicazione. La Finanziaria, criticata da quasi tutti gli economisti che contano, avversata da Confindustria (con le dure parole del suo presidente, Montezemolo) e stigmatizzata dalle società di rating, sembra invece lo specchio fedele dei rapporti di forza interni alla maggioranza. Uno specchio persino troppo fedele. Nel senso che, in genere, non si dà una così meccanica ed esatta corrispondenza fra gli equilibri politici e le scelte di politica pubblica. Ma in questo caso è accaduto. Per capire la Finanziaria bisogna sempre rammentare che la maggioranza ha un baricentro interno fortemente spostato a sinistra. Fatte le elezioni, lo dissero subito i numeri: a trionfare era stata la sinistra massimalista nelle sue varie anime, mentre la sinistra moderata era rimasta al palo. Se non si parte da qui non si comprende una Finanziaria con più tasse che tagli, in cui le misure per la ridistribuzione — la cosiddetta «equità» — prevalgono nettamente, come dicono anche economisti favorevoli al governo, sulle misure per lo sviluppo. In un sistema bipolare «normale» (ossia, in un sistema bipolare nel quale la maggioranza, di sinistra o di destra che sia, è dominata dalle sue componenti moderate o centriste), nemmeno un governo di sinistra avrebbe dato tanto peso alla ridistribuzione dopo un decennio di crescita economica nulla o debolissima.
E’ fisiologico che nelle democrazie bipolari si realizzino periodicamente politiche di ridistribuzione ma, in genere, ciò accade solo dopo fasi di forte crescita, dopo che la torta si sia sensibilmente ampliata. In periodi di vacche magre, anche i governi di sinistra cercano di puntare più sullo sviluppo che sulla ridistribuzione. Possono permetterselo perché la sinistra estrema conta poco ed essi sono anche in grado di trattare con i sindacati da una posizione di forza. In Italia le cose vanno diversamente a causa degli equilibri fra moderati e massimalisti. E anche a causa del fatto che un premier senza partito, per durare deve fare ampie concessioni a sinistra estrema e sindacati. A rischiare il collo nel loro rapporto con il Paese (come ha osservato Massimo Franco sul Corriere di ieri), sono le componenti moderate della coalizione. La preoccupazione è palpabile nei discorsi di leader come Fassino o Rutelli, nella loro promessa (o auspicio?) di riforme e liberalizzazioni a breve scadenza. Ma se le componenti moderate si indeboliscono troppo, il sistema bipolare finisce per autodistruggersi. Nessun bipolarismo può durare a lungo se le fazioni estremiste (inidonee a governare le democrazie capitaliste) acquistano troppo spazio. Credo anch’io che sia in atto «un complotto». Ma non contro il governo Prodi. Contro il bipolarismo. E’ però un complotto che nessuno ha ordito. Nasce dalla natura delle cose, dalla perversa conformazione degli attuali equilibri politici.