Il grande amore, ammiccava l’attrice Zsa Zsa Gabor, «può scoppiare anche per un conto corrente». Figuratevi per una ricca Regione a statuto speciale. E così, dalle montagne settentrionali ha preso avvio una slavina che, originata dal ruzzolare del fagiolo di Lamon, un paese che fino al referendum per passare dal Veneto al Trentino era noto solo ai cultori della “pasta e fasoi”, rischia di travolgere tutto e tutti. A partire dal telaio di confini che abbiamo studiato sui sussidiari. Confini che questi vorrebbero spostare di là, quelli di qua.
Certo, il virus della “traslochite” non ha infettato solo il Nord. In attesa che qualche borgo meridionale venga folgorato dall’ansia struggente di ricongiungersi in nome dell’amato Regno delle Due Sicilie alla carissima Trinacria dove Totò Cuffaro può manovrare grazie all’autonomia molti più soldi dei suoi colleghi del Mezzogiorno, c’è già chi ha provato come l’avellinese Savignano Irpino (quorum mancato) a passare dalla Campania alla Puglia. Né la voglia di fare i bagagli riguarda solo le regioni a statuto speciale.
Lo dice il referendum che fra tre settimane chiederà agli abitanti di 7 comuni pesaresi (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, Sant’Agata Feltria, San Leo e Talamello) se sono d’accordo con la richiesta dei consigli comunali di passare dalle Marche all’Emilia-Romagna. Perché? Patriottismo, dicono i promotori.
Fin dal 1861, tuona sul “Corriere Adriatico” il sindaco di Talamello, Rolando Rossi, “ci sono atti che testimoniano la richiesta di trasferimento da Pesaro a Rimini!”. Si può umiliare un popolo che brama da un secolo e mezzo di ricongiungersi alla patria e il cui pensier si “posa sui clivi, sui colli, / ove olezzano tepide e molli / l’aure dolci del suolo natal”? Gratta gratta, però, viene fuori il resto. Che il sindaco di Pennabilli Stefano Paolucci riassume così: “Tutto è migliore, in Romagna”. La sanità, l’attenzione al turismo, i servizi, la viabilità… Perché restare nelle Marche se nel giardino di là l’erba è più verde? Per non dire dell’erba concimata coi fertilizzanti dell’autonomia speciale. La sognano sulle montagne nordorientali di Cortina d’Ampezzo, Sappada o Colle Santa Lucia, dove la voglia di ricongiungersi eoi cugini sudtirolesi è un fiume carsico che si inabissa e riemerge. La sognano su quelle nordoccidentali, dove il mese scorso i 176 elettori di Nasca hanno votato per passare dal Piemonte alla Val d’Aosta sperando di restituire vita a una contrada che ha perso quattro quinti della sua popolazione. Una scelta che potrebbe essere seguita, nel referendum già fissato, da altri torinesi in fuga verso i ricchi pascoli della Vallèe: gli abitanti di Carema.
Sogni legittimi, s’intende. Tanto più se dovuti al tentativo di salvare situazioni che appaiono disperate come quelle di certi comuni montani svuotati dall’emigrazione. Certo è che il virus della “traslochite” s’è diffuso come un’epidemia. Soprattutto nella regione che, stretta tra il Trentino e il Friuli, più soffre di invidia per le “fortune” altrui: il Veneto. Dal quale è in corso un fuggi-fuggi che pone problemi enormi. Hanno già votato per andarsene in Trentino le bellunesi Lamon e Sovramonte e nel Friuli la veneziana Cinto Caomaggiore. Hanno fallito di poco l’obiettivo (tanti sì ma quorum fallito) altri quattro comuni serenissimi: Taglio Veneto, Pramaggiore, Gruaro e San Michele al Tagliamento. Totale: su 44 comuni veneziani già 5 (in attesa che ci provi un sesto, Concardia Sagittaria) hanno provato a passare dall’altra parte.
Dicono i “furlanisti” che si tratta di patriottismo e si sgolano a declamare quanto sia maravigliosa la prospettiva di “restaurare l’antica patria del Friuli com’era alle origini, dal Timavo alla Livenza”. Dietro, però, ecco le tabelle di un volantino: “Sconto benzina: in Veneto niente, in Friuli 0,163 euro al litro.
Ticket sanitario: in Veneto 2 euro a scatola, in Friuli zero. Polizza assicurazione auto 13 cavalli: in Veneto 911 euro, in Friuli 711″. E via così, fino ai dettagli: “assegni maternità parto gemellare: in Veneto zero, in Friuli 4.650 euro”. Titolo di un’intervista a uno dei promotori del trasloco: “II sì al Friuli vale 800 euro l’anno a persona”. Sìntesi di Bruno Travanut, consulente aziendale: “II mio cuore batte per Venezia, il portafogli dice Pordenone”.
Sostiene Massimo Cacciari, velenoso, che “è colpa di Galan che governa male”. Sarà. Ma la faccenda pare più complessa. E lo dicono le tabelle distribuite a suo tempo a Lamon: “Libri scolastici: gratuiti fino alla quinta elementare in Veneto, fino alla terza media in Trentino. Bibilioteche comunali: 2 per abitante a Lamon, 10 nella vicina Canai San Bovo. Lista d’attesa per una mammografia: 5 mesi in Veneto, 50 giorni in Trentino. Spesa annua dei comuni per abitante: 587 in Veneto, 1.175 in Trentino. Entrate tributarie comunali per abitante: 258 euro in Trentino, 426 nel resto d’Italia. Al che pare di rivedere gli opuscoli che Eugenio Balzan vide nel 1901 in mano agli emigranti della nave su cui viaggiava. Dove il Canada era una “vera terra promessa dove la fortuna e l’agiatezza aspettano l’uomo laborioso”.
E’ dura spiegare a chi vive nelle aree di confine, e non capisce le ragioni storiche di certe autonomie, che non può avere ciò che ha chi sta appena al di là. Tanto più, dice il presidente della provincia di Trento Lorenzo Dettai (d’accordo col collega Luis Durnwalder sul rifiuto “della sola ipotesi duna campagna acquisti” e sulla necessità d’una legge costituzionale per recepire i comuni profughi) che la bocciatura della “devolution” potrebbe accelerare nuove spinte centrifughe. Il governo, prima con Pisanu poi con Giuliano Amato (che confessa di essere preoccupatissimo per la piega presa dalle cose e d’avere adempiuto a malincuore all’obbligo di presentare una legge per questi traslochi) ha cercato di guadagnare tempo sperando che certe fratture si ricomponessero. Ma come ne esci? “Col federalismo fiscale!”, tuona furente Giancarlo Galan. Di ragioni per schiumare rabbia contro questa emorragia secessionista, il governatore ne ha diverse. A partire dalla scelta degli alleati leghisti di votare il via libera all’addio di Lamon. E da quella dei consiglieri regionali friulani di centrodestra di appoggiare il centro-sinistra di Riccardo Illy («Non potevamo far diversamente: il confine storico è sempre stato la Livenza») nel dare il benvenuto a Cinto Caomaggiore. Una scelta bollata da Galan come «un’idiozia». E sulla quale è scoppiatala guerra non solo tra Veneto e Friuli ma dentro la stessa CdL nella sua roccaforte nordorientale. Sullo sfondo, nuvoloni neri: chiedono di votare per lasciare il Veneto e passare al Trentino otto su otto dei comuni dell’Altopiano di Asiago: dal capoluogo a Foza, da Gallio a Roana, da Enego a Rotzo. E se la spinta disgregatrice dovesse passare anche lì…