Mi arrendo. E’ la prima volta in questi sessant’anni di vita (forse un po’ meno, perché nella culla qualche volta mi sarò pure arreso) che pronuncio queste due parole. Mi arrendo di fronte al congresso Ds. Non lascio la tessera, come ha fatto Nicola Rossi, perché in quel partito c’è, tra strappi e continuità, la gran parte della mia vita, perché quella comunità è la mia famiglia politica. Fino a che ci saranno politicamente i Ds, resterò lì. Dopo aprile, liberi tutti.
Ho inseguito il sogno di una terza mozione riformista che proponesse uno sbocco socialista al partito che stanno chiudendo. Ho pensato che una battaglia congressuale vera fosse linfa in un corpo considerato da tutti agonizzante e ho proposto di mettere assieme le due mozioni contrarie al Pd. La sinistra Ds ha risposto positivamente, i miei amici della terza mozione hanno pronunciato solennemente il «non possumus». Non possono perché non vogliono mischiarsi con la sinistra (ohibò, ma l’obiettivo non è un partito in cui c’è posto per tutti?). Non possono perché non rifiutano l’idea dello scioglimento dei Ds (ora no, dopodomani sì). Non possono perché la prospettiva del partito democratico, con tempi e modalità diversi, appare inevitabile. Dalla versione hard dei partito democratico si passa alla versione soft.
Non ci sto. Del resto da anni con articoli e interviste ho sempre sostenuto che il nostro compito storico fosse quello di riunificare i socialisti e i liberal-socialisti per fare un partito riformista moderno, stile socialdemocrazie europee, passando attraverso un’assemblea revisionista che stabilisse ciò che è vivo e ciò che è morto, che sanasse le ferite nella sinistra, riconoscendo a Craxi quello che è di Craxi e riprendendo alcune lezioni di politica da quella grande scuola che fu il Pci, di cui si deve rigettare il debito con il comunismo internazionale ma a cui venga riconosciuto quel grande ruolo democratico che ebbe nello sviluppo della società italiana.
Temi grandi, temi da discutere. Ci hanno provato una volta Foa, Reichlin e Miriam Mafai nel libro sul «Silenzio dei comunisti», ma poi più nulla. Solo pentimenti a rate, riconoscimenti di errori parziali, persino dichiarazioni di esponenti di spicco, compreso l’attuale segretario dei Ds, di non essere mai stato comunista malgrado avessero fatto parte del gruppo dirigente di quel partito dalla più tenera età. Non ci siamo. Così si può spavaldamente invocare il nuovo, decretare la morte delle vecchie culture politiche, ma si da vita a una politica senz’anima, senza passato (ancorché da revisionare), senza quella roba che si chiama identità e che non è una summa teologica ma il vissuto concreto di milioni di persone e l’aspirazione al riformismo come trasformazione. Un riformismo con un’idea in testa: trasformare il Paese, modernizzandolo, correggendo le disuguaglianze create da un’economia di mercato che resta il centro propulsivo dell’economia, e liberandolo dall’intrusività dello Stato, oltreché dall’assedio di un nuovo fondamentalismo religioso. Qui è lo spazio per un nuovo socialismo. Un socialismo che non sogna società socialiste, che premia i meriti e risponde ai bisogni (la citazione è voluta), un socialismo che fa della bandiera della libertà una bandiera internazionale, senza fare sconti o inciuci verso quella parte di mondo prigioniera di teocrazie, dittature, senza elementari diritti civili.
Mi arrendo. Mi arrendo perché in solitudine non penso di poter contribuire alla battaglia congressuale. Perché un conto è una battaglia comune fra due componenti contrarie alla maggioranza, un altro è l’adesione individuale alle scelte della sinistra. Con tutto il rispetto per loro, non sono uomo per tutte le stagioni, non ho fatto parte della sinistra radicale in questi anni né intendo cominciare ora. Mi dicono, alcuni che conoscono la politica dal di dentro, che sono completamente pazzo. Che così mi taglio tutte le strade, che non sarò più deputato. E se fossi l’unico sano? Della carriera mi importa poco. Nascendo Caldarola da Bari, ho già fatto tanta strada. Ci sono libri e articoli da scrivere. C’è la prospettiva socialista per la quale sono disposto a spendere quel che posso e quel che so. Ma al congresso dei Ds non partecipo. Con questa tesserina in tasca che scadrà quando morirà il partito, torno single. Così, senza rancore ma anche senza nostalgia.
Mai vista una grande storia buttata via in modo così cinico e sciatto.