RADICALI ROMA

«Fondazioni? Mai»: cena con lite tra i tesorieri dell'Unione

  Il prossimo round è pre­visto per martedì 6 febbraio: anche questa volta davanti a un piatto cal­do. Ore 20,30 in punto. Alla cena per festeggiare i sessant’anni del deputato Ugo Sposetti, tesoriere dei Ds originario di Tolentino, in provincia di Macerata, dove è nato il 21 gennaio del 1947, sono invitati tutti i tesorieri del centrosinistra. Forse con la speranza di ricondurre a più miti consigli gli irriducibili (i tesorieri dell’Italia dei Valori e dei Radicali) che proprio non ne voglio­no sapere di dare il sospirato via li­bera alla legge per far nascere le fon­dazioni politiche, un nuovo siste­ma per finanziare i partiti utilizzan­do anche risorse pubbliche.

 

 

 

Il pranzo che c’è stato martedì scorso nel ristorante da Fortunato al Pantheon, al riparo da orecchie indiscrete, si è concluso con un nul­la di fatto. Non sono volate le stovi­glie, ma il colloquio fra Sposetti, Luigi Lusi (Margherita), Siegfried Brugger (Svp), Marco Lion (Verdi), Silvana Mura (Italia dei valori), Maurizio Turco (Radicali) e Marco Boato, il relatore della legge, è sta­to a quanto pare molto franco. «Sia­mo totalmente contrari a questa operazione», assicura Turco. Il teso­riere radicale spiega che non c’è «un’opposizione ideologica alle fon­dazioni. Ma vogliamo ridiscutere tutto il meccanismo dei rimborsi elettorali, che sono invece un vero finanziamento pubblico dei partiti.

 

 

 

E siamo anche contrari al fatto che queste future fondazioni possano utilizzare dipendenti pubblici scari­cando sullo Stato il costo previden­ziale». Argomentazioni del tutto analoghe a quelle di Silvana Mura, che aveva già chiesto (inutilmente) di introdurre in Finanziaria alcuni emendamenti per ridimensionare i rimborsi elettorali.

 

 

 

La norma sulle «fondazioni politi­co-culturali» dei partiti dovrebbe essere inserita in un disegno di leg­ge presentato a settembre per risol­vere un problema targato Sud Tiroler volkspartei, che non aveva fatto nei termini di legge domanda per ottenere i rimborsi elettorali. Una specie di sanatoria ad personam, di­ventata succulenta occasione per una iniziativa di portata sontuosa. L’emendamento presentato da Boato, sul quale ci sarebbe anche l’accordo dell’opposizione, stabili­sce che i partiti possano costituire «fondazioni politico culturali» per accogliere eredità e finanziamenti privati, ma anche «attività patrimo­niali» degli stessi partiti e soprat­tutto «contributi pubblici per il finanziamento di programmi cultura­li e di formazione». Ma la cosa più sorprendente è che potranno utiliz­zare personale in aspettativa da aziende private e dipendenti, sem­pre in aspettativa, «di ruolo e non di ruolo dell’amministrazione statale, di enti pubblici e società con ca­pitale interamente o parzialmente pubblico». Cioè gli statali ma anche dipendenti di Poste, Eni o Enel. Co­me se non bastasse, e qui sta il bel­lo, il tempo passato alle fondazioni sarà computato «ai fini della pro­gressione di carriera, dell’attribu­zione degli aumenti periodici di sti­pendio e del trattamento di quie­scenza e assistenza». Anche i contri­buti pensionistici, quindi, saranno a carico dello Stato. Ma non è tut­to. Le aziende private che concede­ranno l’aspettativa avranno «la pos­sibilità di assumere personale sosti­tutivo con contratto a tempo deter­minato». Alla faccia della lotta alla precarietà del lavoro.

 

 

 

C’è soltanto un problema. I tecni­ci della Camera hanno fatto presen­te che le norme in vigore per i dipen­denti pubblici prevedono un’aspet­tativa non più lunga di cinque anni e non computabile a carico dello Stato per la pensione. Ma tutti i problemi di questo tipo, se c’è la volontà, si possono risolvere. E la vo­lontà, a quanto pare, c’è. Dice Silva­na Mura: «È molto strano. Sposetti aveva promesso che si sarebbe spo­stato di una settimana il termine per gli emendamenti, per sistema­re le cose che non andavano. Ho chiesto al legislativo ma mi hanno detto che la proroga non c’è stata e il termine è scaduto mercoledì. For­se non volevano che presentassimo i nostri emendamenti. Ma non san­no che li abbiamo già presentati martedì scorso».