RADICALI ROMA

I gazebo e le tessere-fantasma

Con il suo intervento di ieri sull’Unità Romano Prodi ha ri­preso la guida del progetto av­viato nel 1995, chiarendo che il Pd è in continuità con l’Ulivo ma anche, pro­prio per questo, «nuovo», disconti­nuo rispetto ai partiti che gli cedono il passo. Ha definitivamente affermato il principio «una testa, un voto» come elemento qualificante della democra­zia interna e fatto proprio il Manife­sto come carta dei principi per la fase costituente.

 

 

 

Acquisito il principio per cui l’As­semblea costituente dovrà essere elet­ta (e non nominata per quote), si trat­ta ora di evitare che «i dettagli» lo svuotino. Personalmente starei fermo a quanto ho proposto ad Orvieto: «Nella seconda domenica di ottobre del 2007 tutti i cittadini italiani che condividono il progetto vengono invi­tati a sottoscrivere un documento di intenti, pagare una quota di 5 euro, autorizzare l’iscrizione del loro nome nell’Albo dei sostenitori del Pd, vota­re per l’elezione dei componenti del­l’Assemblea costituente e, in maniera congiunta, per il primo presidente del partito. 1 componenti dell’Assemblea costituente verrebbero eletti sulla ba­se di liste bloccate ma corte, che rendo­no quindi riconoscibili per gli elettori i nomi dei candidati».

 

 

 

Il documento di intenti c’è già: è il Manifesto redatto su richiesta di Pro­di, Fassino e Rutelli. E il Manifesto prevede peraltro al suo interno il di­spositivo appena citato, che ha alcune essenziali implicazioni.

 

 

 

Primo: non sono ammissibili quote riservate a componenti di diritto. Do­potutto, perché tra i componenti di di­ritto dovrebbero figurare i parlamen­tari nominati con il metodo Calderoli? E d’altro canto è difficile pensare chei leader, da D’Alemaa Rutelli, vo­gliano entrare nella Costituente del Pd con una legittimazione di secondo ordine. Sarebbe invece un bellissimo segno se, in quella domenica di otto­bre, anche D’Alema, Rutelli, Fassi­no, Parisi si sottoponessero alle elezio­ni interne, accogliendo con una stret­ta di mano i cittadini in fila davanti ai gazebo del loro quartiere.

 

 

 

Secondo. Se si vuole, si proceda pu­re alla raccolta di pre-adesioni aggiun­tive, dopo avere fatto diventare gli iscritti Ds e Dl «democratici» per edit­to congressuale. Qualche iscritto Ds e DI potrebbe legittimamente aversene a male, e sarebbe detestabile che il Pd abbia, già nella fase costituente, tesse­rati fantasma. L’importante è che al­meno la pre-adesione abbia un signifi­cato circoscritto. Potrà essere richie­sta come condizione per candidarsi o sottoscrivere candidature. Ma il dirit­to ad aderire e votare dovrà essere ri­conosciuto a chiunque si presenti da­vanti ai gazebo dell’Ulivo con una tes­sera elettorale valida la seconda dome­nica di ottobre. È infatti essenziale smontare in radice la logica dell’acca­parramento fittizio dei tesserati e del­le tessere. Per cui contano di più i tesse­rati inattivi o inesistenti di chi è dispo­sto a partecipare, se e quando ritiene che ne valga la pena, ma non vuole prendere tessere a scatola chiusa.

 

 

 

Terzo. Il sistema elettorale deve consentire una competizione tra liste concorrenti, espressione di aggrega­zioni e orientamenti politici ampi, pos­sibilmente frutto di un rimescolamen­to delle vecchie identità. Non sarebbe­ro accettabili né listoni nazionali di sti­le Calderoli, né una competizione per le preferenze destinata a premiare i po­litici di professione. Un sistema perfettamente proporzionale spingerebbe anche gruppetti minuscoli a presenta­re proprie liste, mentre un sistema sec­camente uninominale escluderebbe dalla rappresentanza chiunque non confluisca in un eventuale accordo Prodi-Ds-Dl. Un giusto mezzo consi­ste a mio avviso nell’ usare i 232 colle­gi del Senato della legge Mattarella, mettendo in palio in ognuno di essi 5 seggi, senza recupero di resti, tra liste concorrenti bloccate, con obbligo dell’alternanza donna-uomo nell’ordine di lista. Eccezionalmente, solo nella fase costituente, nella quale non si compete per affermare un indirizzo politico di governo, si potrebbe affie­volire il principio del collegamento univoco tra liste e candidato alla presi­denza del partito, consentendo a più liste di collegarsi ad uno stesso leader.

 

 

 

Dopo aver fissato questi paletti, ri­marrebbero ovviamente molti altri elementi da definire sui meccanismi della transizione, e molto ancora ri­marrebbe da dire sul grado di novità che il Pd deve rappresentare per esse­re credibile. Ma le premesse sarebbe­ro certamente più chiare e più solide.