RADICALI ROMA

Il nuovo che (non) avanza

Il nuovo che avanza! Questo è quello che qualcuno vorrebbe far credere agli italiani. Un cambio generazionale delle classi dirigenti, una nuova politica e nuove soluzioni ai problemi del paese. Verrebbe da dire: bene, benissimo, avanti così. Purtroppo quando si ha l’occasione di ascoltare coloro che dovrebbero incardinare questo radicale cambiamento si rimane un po’ delusi. È notevole l’attenzione mediatica con cui, ogni giorno, i vari Zingaretti, Vendola, Renzi ed alcuni altri, vengono seguiti.
Le loro parole, seppur molte volte condivisibili, mancano di una lettura storica della (non) democrazia italiana. Per esempio, se non si affronta seriamente il ruolo dei partiti che, dal primo gennaio 1948 ad oggi, hanno abusivamente occupato la nostra repubblica, difficilmente si potrà affiancare la parola nuovo al proprio cognome. Chi continua a dire che la nostra Costituzione è la più bella del mondo, ma poi proviene da quella cultura dominante che ha contribuito a sfasciarla, difficilmente avrà la forza per riformare questo paese. Uno dei motivi per cui il Pd, ma non solo, si trova in seria difficoltà nel trovare una mission realmente riformatrice, è l’avere una classe dirigente che non ha mai svolto i “funerali politici” dei propri partiti di provenienza.
I “nuovi” leader non fanno altro che parlare di partecipazione e di primarie, peccato che tralascino due dei più importanti strumenti che i nostri Padri costituenti avevano garantito ai cittadini, affinché prendessero parte alla vita dei partiti e della nazione. Un reale rinnovamento non può prescindere da due fondamentali questioni. La prima è l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. La democrazia all’interno delle forze politiche è fondamentale per dare l’opportunità all’individuo di affermarsi con le proprie idee e con la propria storia. Questo era il grande pensiero di chi scrisse quella Carta ma che, con la sola eccezione radicale, non ha mai trovato compimento. La seconda: risulta difficile richiamarsi al “popolo”, come fanno Vendola e gli altri, senza dire parole chiare di denuncia in merito alla distruzione della seconda scheda avvenuta ad opera dei partiti e della corte costituzionale.
I cittadini sulle grandi questioni civili, e quindi sociali, si sono sempre schierati in modo conforme alle migliori democrazie laiche ed anglosassoni, ma il parlamento ha sempre disatteso il voto popolare. Un esempio su tutti è il quesito sul finanziamento pubblico dei partiti, abrogato a stragrande maggioranza e trasformato dalla partitocrazia in rimborso elettorale, una vera e propria truffa bipartisan, ma nessun leader dice nulla su questo. Così come non viene detto nulla sul ruolo della corte costituzionale che, a partire dalla sentenza n. 16 del 2 febbraio del 1978, inaugura la giurisprudenza anti-referendum e anti Costituzione. Nel giudicare l’ammissibilità di otto referendum radicali volti ad abrogare, tra l’altro, il Concordato tra Stato e Chiesa, la Corte si distacca da una lettura tassativa dei limiti previsti dall’articolo 75 per sostenere l’esistenza di una miriade di ulteriori limiti, frutto di un’interpretazione estensiva di quelli espressamente enunciati dalla Costituzione, ravvisandone sempre di nuovi di carattere implicito.
È dal 1978 che la corte costituzionale aiuta i partiti a far fuori numerosi referendum che avrebbero cambiato questo paese. Il combinato disposto partiti/corte costituzionale ha allontanato milioni di italiani dalla vita civica della nostra repubblica. Chi oggi si richiama alla partecipazione e alla riscossa civica non può non tenerne conto. Il ruolo delle forze politiche e la seconda scheda elettorale sono solo due degli argomenti che chiunque voglia dare durata a una reale alternativa dovrebbe affrontare.