RADICALI ROMA

Il recupero dei vuoti urbani

Di Stefano Arista.

Scuole, caserme in disuso, fabbriche e capannoni industriali dismessi, cinema e chiusi, stazioni, negozi, abitazioni, uffici vuoti… La lista dei luoghi dimenticati della città è lunghissima.
La città post-industriale ed i profondi mutamenti nell’organizzazione sociale ed economica del nostro paese hanno lasciato un territorio denso di architetture abbandonate: grandi contenitori ma anche spazi più minuti, frammenti nel tessuto urbano, dimenticati. Si tratta di spazi in attesa di una nuova identità, luoghi spesso contesi e stretti tra la complessità e l’inerzia dei processi decisionali delle amministrazioni pubbliche, la rigidità degli strumenti urbanistici.
Sorpassate oramai in tutte le metropoli europee le concezioni urbanistiche di espansione a macchia d’olio della città e della produzione edilizia di massa, l’area romana si trova a dover affrontare nuove sfide rappresentate dalla sostenibilità ambientale intesa nel senso più generale. L’ambiente urbano è sensibile ai cambiamenti socioeconomici, al livello delle comunicazioni, alla qualità dei suoi spazi, sia architettonici sia naturalistici, alle forme di accesso alle infrastrutture produttive, istituzioni pubbliche, commerciali, culturali.
La città di Roma è ricca di queste risorse sottratte alla collettività. Beni urbani spesso ingombranti. Talmente ingombranti da essere un costo per l’amministrazione pubblica che non elabora piani di valorizzazione e vendita; ingombranti per gli operatori privati, sempre più restii all’investimento in un mercato oramai saturo di offerta immobiliare.
All’interno del vasto territorio dell’Urbe, incoerenze di piano, vuoti urbani, aree industriali dismesse e abusivismo hanno creato una quantità di fratture e soluzioni di continuità del tessuto urbano e suburbano con esiti di frammentazione che richiedono adeguati interventi di ricucitura, ricomposizione e ricostruzione a partire dagli spazi collettivi.
Con tutta evidenza la strategia di questi interventi non può essere generalizzata, ma mirata sui singoli episodi. Su molti di questi l’intervento del privato non solo è ammissibile ma in una fase così acuta di deficit del bilancio di Roma Capitale, necessario ed urgente.
Il recupero funzionale di questi vuoti urbani deve passare per due livelli, quello di micro intervento teso al riuso di spazi di piccole dimensioni e quello di intervento al livello urbano, utilizzando grandi strutture dismesse, in grado di innovare e rilanciare nuove centralità urbane.
Entrambi i livelli di intervento, adeguatamente integrati fra loro possono consentire una rigenerazione urbana in grado di riavviare il tessuto economico e sociale della città oramai in gran parte compromesso.

Micro interventi
:
Seguendo l’esempio di altre città italiane (Milano, Torino) e necessario organizzare il riuso e la ristrutturazione dei cosiddetti alloggi sotto soglia (ossia al di sotto dei 28,50 mq) e dei piani terra degli edifici di proprietà comunale, spesso largamente inutilizzati.
Gli alloggi sotto soglia sono quegli appartamenti che non rispondono ai requisiti minimi dimensionali secondo la normativa attuale. Si tratta di spazi abitativi costituiti da mini abitazioni che potrebbero essere riprogettate con soluzioni innovative per renderli maggiormente fruibili ove esistenti, o ricavandoli mediante il frazionamento di unità abitative di dimensioni maggiori che oggi, per il fenomeno della diminuzione delle famiglie numerose, non sono più adeguati alla reale richiesta alloggiativa.
Ciò consentirebbe a molte categorie di soggetti non inserite all’interno delle graduatorie pubbliche, e che si scontrano con le rigitità normative delle assegnazioni di edilizia residenziale pubblica, di soddisfarne l’emergenza abitativa, creando quello che viene chiamato “albergo sociale diffuso”.
In particolare ci si rivolgerebbe ad anziani autosufficienti, soggetti espulsi dal mercato perche sfrattati, donne sole, genitori separati, immigrati, disabili che attualmente occupano edifici dotati di barriere architettoniche
Seguendo l’esempio di altre città si propone di censire e mettere a bando l’utilizzo dell’esteso parco immobili di proprietà comunale ai piani terreni degli interventi residenziali pubblici spesso largamente inutilizzati. Il riuso, la riprogettazione e l’affidamento mediante bandi pubblici di questi spazi consentirebbe di mettere a disposizione della microimprenditoria, di artigiani e cooperative di soggetti svantaggiati spazi che tornerebbero ad essere vitali all’interno dei quartieri, immettendo nuove realtà produttive e start-up all’interno del tessuto di quartiere con funzione di volano di sviluppo economico e sociale.

Macro interventi:
Si tratta di mettere in campo azioni alla scala di governo del territorio sperimentando nuovi sistemi di progettazione della città in sinergia con soggetti privati, guardando alle dinamiche sociali legate al mondo del lavoro, della cultura e della produzione di nuove forme di aggregazione più aderenti ai modelli di città integrata. In tal senso le azioni di rigenerazione urbana devono rivolgersi al riutilizzo di grandi contenitori di proprietà pubblica o privata dismessi, anche attraverso una maggiore flessibilità degli strumenti urbanistici. La nuova logica di sviluppo sottende alla reinterpretazione di questi grandi vuoti urbani che si offrono come opportunità per ripensare alle funzioni del territorio. Ciò favorirebbe lo sviluppo di nuove centralità urbane ed al recupero dell’identità di luoghi nodali della città in grado di implementare la qualità complessiva dei quartieri.
In tal senso l’esempio di Torino, che da città con un forte passato fordista, alla quale ha risposto con una terziarizzazione molto spinta può essere da stimolo. In questa città, molti edifici ex industriali stanno subendo un processo di riutilizzo, con forte polarizzazione verso il terziario avanzato e la ricerca di nuove imprenditorialità, il coworking, la cultura.
Sulla base di questo esempio facile all’interno del territorio di Roma Capitale, individuare un alto numero di contenitori dismessi di grandi dimensioni che potrebbero essere riconvertiti.
Si pensi in particolare alle numerose rimesse degli Autobus di proprietà di Atac collocate all’interne in luoghi oramai non più funzionali per l’uso originario, a causa dell’espansione della città e che, proprio per la loro nuova centralità possono diventare dei punti di riferimento per nuove strategie di sviluppo urbano basate non sul consumo di suolo, ma su un attento riuso delle risorse disponibili.
Azioni mirate di riconversione degli spazi urbani consentirebbero pertanto di rivitalizzare il tessuto produttivo e culturale della città ed allo stesso tempo darebbero una risposta politica concreta ed a basso costo i numerosi problemi della città.
Spazi di accoglienza per immigrati in piccole comunità integrate, emergenza abitativa, ricerca e sviluppo di nuove imprenditorialità, messa a gara e dismissione di beni inutilizzati di proprietà di partecipate oramai sull’orlo del fallimento come Ama ed Atac.