RADICALI ROMA

"In chiesa anche se suicida al mio Welby dissero no"

«Hanno fatto bene i sacerdoti di Milano. É que­sta la chiesa che riconosco. Una chiesa che è madre e non matrigna con i suoi figli nel momento di maggior dolore». Mina Welby parla con un filo di voce pensando alla sofferenza dei parenti di Corso Bovio, che però han­no avuto la consolazione a lei negata del parroco in chiesa per l’ultimo saluto al­l’avvocato suici­da.
 
Chiesa matri­gna?
«Sì, matrigna, dogmatica, sen­za pietà verso i suoi figli che trat­ta in modo diver­so. Io non la capi­sco una chiesa che manda quat­tro cardinali a be­nedire il corpo del generale Pinochet, un assas­sino, e nega il fu­nerale a mio ma­rito perché non voleva più soffri­re».
 
Un’ingiusti­zia?
«Il   funerale non è un sacra­mento, penso debba essere concesso a tutti, perché la chiesa dovrebbe essere madre di tutti. Vicina nel momento di maggior dolore per chi ri­mane e nella comprensione di chi non ce la faceva più a vivere  come  Piero,  come Corso».
 
Perché si celebrano i fu­nerali dei suicidi e a Piergiorgio sono stati negati?
«Non gli hanno perdona­to di aver detto e chiesto pubblicamente per mesi di voler morire, di smettere di soffrire. Di aver rivendicato il diritto ad una qualità della vita e di averne fatto una battaglia politica».
 
Si è sentita abbandonata?
«Dalla gerarchia, non dai tanti sacerdoti che mi hanno detto di aver pregato, di aver celebrato messe in suffra­gio. Non sa quanti cattolici non perdonano alla chiesa quel funerale negato».
 
E lei perdona?
«Una cosa è Gesù che è ve­nuto per redime­re tutti. Una cosa è la gerarchia che è fatta di persone che   sbagliano. Troppo   spesso agiscono   come politici, usano le parole come clava per ferire».
 
Non tutti però.
«Sì, infatti il cardinale Barragan ha detto che quando le cure mediche sono sproporzionate ai risultati, alle sof­ferenze, si posso­no interrompere. Si accetta di non poter impedire la morte. Ed era quello che voleva il mio Piero».
 
Lei invece cosa voleva?
«Averlo accan­to   per   sempre. Avevo bisogno di lui, sapevo che la politica aveva bisogno della sua intelligenza, della sua forza, ma alla fine mi so­no arresa al suo volere».
 
Perché?
«Ha scelto lui perché la vi­ta è nostra. Dio ce l’ha data e noi gliela restituiamo aven­do fatto fruttare i nostri ta­lenti. E Piero li ha fatti frutta­re, ha vissuto profondamen­te, intensamente».