RADICALI ROMA

La chiesa e gli atei devoti

  Come  si innesca una mobilitazione   della Chiesa  nell’Italia  del 2008? È evidente che siamo in presenza di un fatto nuo­vo, meritevole di una rifles­sione scevra da intenti pole­mici.
 
I[direttore del “Foglio”, Giulia­no Ferrara, mutuando i codici di mobilitazione e il linguag­gio radicale, promuove l’idea di una moratoria sull’aborto, fina­lizzandola a un raduno mondiale da tenersi a Roma la prossima pri­mavera. La vastità inaspettata del­le adesioni cattoliche alla propo­sta di Ferrara sollecita il cardinale Camillo Ruini a farla propria, integrandola di suo con l’invito a mo­dificare la legge 194. Più cauta, se­gue la benedizione del presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. “Avvenire” sostiene appassio­natamente l’iniziativa, “Famiglia cristiana” pubblica un editoriale di appoggio. Infine manifesta il suo consenso lo stesso Benedetto XVI, pur evitando l’ambiguo sillo­gismo tra la moratoria sulla pena di morte decisa dall’Onu e la mo­ratoria sull’interruzione di gravi­danza proposta dagli antiabortisti.
 
La dinamica dei fatti esclude che siamo in presenza di una cam­pagna congegnata e pianificata d’intesa con i vertici della Chiesa. Segnala piuttosto un salto di qua­lità nel rapporto da essa instaura­to con il settore dell’intellighenzia che sbrigativamente ci siamo abituati a definire “atei devoti”. All’at­tacco è partito Ferrara, gli altri hanno deciso di seguirlo attri­buendogli semmai una funzione provvidenziale: la scissione del fronte laico. L’incrinatura di quel­lo che nella loro semplificazione figura come il “pensiero unico” progressista, imbevuto di permis­sivismo e subalterno al dominio di una tecnoscienza amorale.
 
Non importa qui tanto chieder­si se l’inedita sollecitazione da cui ha preso le mosse la campagna an­tiabortista riveli una forza o una debolezza della Chiesa italiana, anche se a me pare evidente la ri­sposta.
 
Limitiamoci a constatare: la gerarchia cattolica attribuisce una funzione cruciale, strategica, a personalità non credenti che pro­pugnano i valori normativi della dottrina religiosa su un piano di mera convenienza razionale. Agli “atei devoti” la Chiesa non propo­ne un cammino di conversione. Chiede loro di testimoniare che è possibile uniformarsi alle regole di convivenza da essa prescritte an­che senza bisogno di credere.
 
L’entusiasmo, la gratitudine, l’ammirazione manifestati a Fer­rara nelle centinaia di lettere che il “Foglio” sta pubblicando, eviden­ziano un sentimento di riscossa.
 
Quasi che lo schiera­mento antiabortista di una frazione di non credenti resti­tuisse a quei cattolici la perduta legittimità mondana. Questa è la sorpresa, questo è il miracolo che attendevano. Nell’acce­zione di Ruini, un personaggio come Ferrara non va atteso come il figliol prodi­go ma semmai rico­nosciuto quale mo­derno profeta mediatico.
 
A questo punto la Chiesa sembra poco interessata al dialogo tra sensibilità diver­se. Le quali si fronteggiano sperando, in­vano, di smascherare l’altrui incoerenza. Quanta compassio­ne dedichiamo ai condannati a morte? Quanta alle vittime civili delle guerre? E alle vittime del terro­rismo? E ai morti di Aids o di denutrizio­ne? È sufficiente il nostro scandalo per le morti sul lavoro? O ancora, come obietta Giuliano Amato: gli antiabortisti potranno amare davvero gli em­brioni quanto i bambini, restando però distratti nei confronti dei bambini emarginati?
 
Temo sia proprio sulla fatica della coerenza che non riusciremo a comprenderci. Ne difettiamo tutti, in gradi diversi. Capita che gli uni ne siano tormentati, nella perso­nale responsabilità. Mentre altri denunciano proprio questa uma­na debolezza come morbo curabi­le solo da una terapia normativa a carattere religioso.
 
Cosi la relazione fra il dire e il fa­re passa in second’ordine, col de­clino della coerenza. La svaluta pu­re questa Chiesa ridotta a mino­ranza che, per recuperare centra­lità nella decisione pubblica, gra­disce il soccorso degli “atei devoti” e la disponibilità intermittente di politici pronti a figurare clericali senza neanche bisogno d’essere cristiani. Che importa se agiscono per vocazione o per convenienza? E con il loro sostegno che la Chiesa s’illude di rifondare l’identità na­zionale e occidentale perduta.
 
Sarkozy proclama in Laterano le radici cristiane della Francia prima d’involarsi a Luxor con Carla Bru­ni? Questa è la modernità del pote­re. Per lui è pronto un seggio nel pantheon dei santiprotettori, e pa­zienza se oltralpe gli aborti non calano a differenza che in Italia.
 
Non c’è bisogno di giungere al­l’estremo di Gianni Baget Bozzo, che attribuisce a Berlusconi la fun­zione di uomo della Provvidenza, salvatore della tradizione cattolica nazionale minacciata dal dossettismo e dal prodismo. Basta ricordare l’assenza del minimo imbarazzo – nei vertici Cei – quando l’opposi­zione parlamentare alla legge sui Dico fu guidata da politici divor­ziati e conviventi, scatenati contro una larga parte del cattolicesimo democratico.
 
Essenziale, nel­l’impostazione di Ruini, è che le battaglie politico-culturali della Chiesa italiana figurino sempre promosse d’intesa con la nuova frazione laica, dunque motivate sul piano della raziona­lità anziché sul piano dottrinale. Ecco per­ché è meglio se gli “atei devoti” non si convertono. Il tempo in cui il cristianesimo andava testimoniato innanzitutto nella condotta di vita è so­pravanzato dall’im­perativo della nuova alleanza mondana.
 
Nessuno scanda­lo, dunque, se è “Il Foglio” a lanciare l’offensiva, rivolgen­do a chi dissente l’accusa terribile di acquiescenza con “un fenomeno mostruo­so per quantità genocida”. L’analogia suggestiva ma fuor­viante tra la morato­ria sulla pena di mor­te (che implica un divieto legale ai boia di Stato) e il dramma dell’aborto (che invece richiama scelte individuali sempre ardue fra male minore e male maggiore) ha già prodotto un effetto nefasto. Le donne ne ven­gono retrocesse, esautorate da pri­mo soggetto titolare di una responsabilità che in ogni caso ricade su di loro. Rischia di venirne travolta la stessa riflessione già da tempo in corso fra i medici e le associazioni di sostegno alla maternità: un con­fronto pacato, esente da demonizzazioni reciproche, da cui sono scaturiti protocolli ospedalieri condivisi che tutelano il feto con possibilità di vita autonoma.
 
A dare retta alla fotografia di un’Italia dedita alla pratica disin­volta dell’aborto, protesa nella ricerca del superuomo e nella sop­pressione dei deboli, parrebbe che l’esercizio di una rigorosa verifica etica sui poteri della tecnoscienza e sui limiti da imporle, sia istanza esclusiva degli antiabortisti. Ma per fortuna ciò è falso.
 
Rattrista la visione fosca di una società deragliata nella ricerca del piacere sessuale e nell’appagamento dell’io: da contrastare con il senso del peccato e con il codice della famiglia tradizionale. Ma col­pisce soprattutto una Chiesa italiana talmente debole nella sua ispirazione evangelica da mettersi al traino di un pensiero settario, ri­nunciando al dialogo fiducioso con l’insieme del mondo laico. Tutto si tiene: il richiamo alla tradi­zione; la critica dell’esperienza post-conciliare; la reazione al terrori­smo di matrice islamica; la crisi delle vocazioni e della pratica reli­giosa; il miraggio di una nuova lea­dership cristiana.
 
Una  discussione  libera  sulle nuove frontiere della vita, e sulla necessità di riformare insieme i codici della ricerca medico-scien­tifica, non trae alcun giovamento dalla moratoria sull’aborto. Dubi­to, peraltro, che la Chiesa stessa si vivifichi nell’investitura di emi­nenze laiche.