Dice Piero Passino che il Partito democratico si farà ma i Ds non si scioglieranno: il congresso di primavera della Quercia «aprirà la fase costituente» verso il nuovo soggetto. Gli replica Fabio Mussi, rivale nella corsa alla segreteria: «Sono anni che galleggiamo sugli annunci del nuovo partito. Ora si apre il processo, fasi di passaggio, federazioni di transito. Temo che alla fine, se ci sarà, il fratto lo si raccoglierà col cucchiaino». Controreplica Massimo D’Alema: «Passino non cerca di allungare il brodo. Quella di Mussi è la logica di Tecoppa: state fermi così vi infilzo meglio».
È vissuto molto sullo scambio di battute a distanza il Consiglio nazionale dei Ds, che ieri a Roma al teatro Capranica ha riunito un partito ormai cristallizzato su posizioni ben note, ieri ribadite per l’ennesima volta dai rispettivi fautori con la sola novità dell’appello di Passino a Romano Prodi affinchè il premier si faccia carico di avviare subito nuovi passaggi unitari (ma, al Prof, il segretario dei Ds è tornato a chiedere anche «un cambio di passo» nell’azione di governo). La novità, semmai, è l’esplosione nella Quercia della questione cattolica in quanto tale, che da appendice del dibattito sul Partito democratico, s’è trasformata in tema capace di dividere trasversalmente le consolidate fazioni sul sì, no, forse al Pd.
«Un partito laico lo facciamo anche per la Binetti, non solo per me», ha detto dal palco Fulvia Bandoli attaccando i teodem della Margherita. E Peppino Caldarola: «C’è una nuova questione vaticana e cattolica, un papa che vuole che ogni cattolico sia un militante». Durissimo è stato Mussi, che dopo aver irriso l’eterogeneità del pantheon democrat («Brandt e Martin Luther King, Kennedy e papa Giovanni, don Milani e Granisci, Chaplin e Fellini», una litania che è sembrata anche una stoccata anti-veltroniana) ha denunciato una resa al confessionalismo della Margherita sul fronte della laicità e dei diritti civili: «Quando sento che alla parola laicità si aggiunge l’aggettivo “sana”, penso che abbiamo già fatto un enorme passo indietro».
Dalla maggioranza del partito sono arrivate risposte con accenti diversi. Massimo D’Alema ha invitato a non legare le controversie sui temi eticamente sensibili alla nascita del Pd: «Al bando la facile demagogia, anche il Partito comunista era prudentissimo ed è stato scavalcato molte volte sui diritti civili. Eliminiamo la questione cattolica dal congresso». Poi però il vicepremier ha diffidato gli alleati cattolici dal porre nuovi veti: «La ricerca di soluzioni condivise e del dialogo non può voler dire subire un veto sul promuovere una legislazione civile e moderna non dissimile dagli altri paesi democratici». Argomentazioni diverse ha usato Fassino, che nella sua relazione d’apertura ha posto così la questione: «Non può essere elusa la consapevolezza di quanto decisivo e strategico sia nella storia dell’Italia il mondo cattolico e di come nessuna reale alternativa democratica e di progresso sia praticabile se il mondo cattolico volge il suo sguardo a destra».
Un concetto, quello di Fassino, già utilizzato per giustificare quanto accaduto due settimane fa in commissione Sanità al Senato. Non a caso, Anna Serafini si compiace della ripresa del dibattito interno : «Per quel voto – dice la senatrice al Riformista – sono stata oggetto di un attacco violentissimo, specie da parte di Repubblica. Ho preferito lasciar trascorrere qualche giorno, ma ora voglio intervenire di nuovo e difendere le mie ragioni. Rifarei tutto, perché non si trattava solo di non regalare i cattolici dell’Ulivo al centrodestra, ma di marcare una scelta di merito sulle droghe: è giusto non depenalizzare e non puntare sulla repressione, ma occorre anche prendere una posizione. Qualcuno ha scritto: “I nostri ragazzi, meglio fumati che in galera”. Io dico: in galera mai, ma meglio non fumati». Aggiunge Serafini: «Dai cattolici ho imparato molto e rivendico nel dialogo con loro un approccio pragmatico. Il mio è il riformismo di Bernstein. Ripartiamo da un gruppo di lavoro comune». Poco dopo, nel suo intervento di chiusura, Fassino lancia la medesima proposta: «È opportuno che ci dotiamo di un gruppo di lavoro fatto dai parlamentari che si occupano di questi temi». Il resto del Consiglio nazionale è vissuto molto sul già sentito. Un po’ di verve è arrivata dal botta e risposta tra Mussi e D’Alema, intervenuti a breve distanza l’uno dall’altro. «Non accetteremo una campagna stalinista da chi ci accusa di volere la scissione, sono pronto a disertare il congresso», ha detto il ministro dell’Università (ce l’aveva con una dichiarazione di Nicola Latorre). «Nessuno farà una campagna stalinista sulla scissione anche perché per altro siamo al governo insieme e quindi sarebbe uno strano modo di scindersi», ha risposto D’Alema. E dopo aver battibeccato sulle potenzialità elettorali del Pd, i due l’hanno buttata sull’accademia: «Fate cattivo storicismo quando dite che la nascita del Pd era già inscritta nella svolta del 1989», ha rimproverato uno. «Il tuo caro Fabio, è strutturalismo ideologico», gli ha fatto eco l’altro («Erano anni che non mi facevano un così bel complimento», commenterà poi Mussi abbandonando il teatro per seguire l’iter del maxiemendamento alla finanziaria). Coincidenza, quella con l’avanzare al Senato della legge di bilancio, che ha suscitato il sarcasmo di Cesare Salvi: «La segreteria del partito, nella sua sovrumana saggezza, ha deciso di convocare il Consiglio nazionale in piena legge finanziaria. Un ottimo esordio del partito democratico»). Commenta Luciano Pettinari, stessa corrente di Salvi: «Astuto Fassino. Dice: “Facciamo un nuovo partito ma non ci sciogliamo”. Bah!». Sostiene Alberto Nigra, cofirmatario della terza mozione demoscettica: «Non presenteremo alcun candidato alla segreteria, così togliamo a molti delusi l’alibi di non votare per la nostra mozione per non spaccare il partito». Ma, infine, la battuta più salace è quella di un anonimo deputato: «La verità è che mentre noi stiano qua a parlare, Prodi ha fatto come al solito i comodi suoi sulla finanziaria».
La nuova questione cattolica divide i Ds più del Pd