RADICALI ROMA

La Repubblica (ed.Roma) – “Dal Mondo di mezzo danni per 1,3 miliardi”

di Corrado Zunino

La somma contestata potrebbe triplicare considerando anche l’effetto d’immagine

La Corte dei conti ha aperto, con una velocità speciale, quattro fascicoli sullo scandalo di Mafia capitale. E, facendo suoi gli esiti prodotti dagli investigatori coordinati dalla procura penale — i carabinieri del Ros e i finanzieri del Gico — il procuratore regionale della Corte dei conti del Lazio, Raffaele De Dominicis, ha già individuato l’entità del danno erariale collettivo da contestare a politici e pubblici funzionari: 1,3 miliardi di euro. È una cifra decisamente alta, la seconda contestazione assoluta dopo quella fatta ai gestori delle slot machine (in quel caso fu di 2,7 miliardi). Al danno erariale, successivamente, sarà sommato il danno d’immagine arrecato a tutte le istituzioni interessate dall’inchiesta: lo Stato ovviamente, quindi la Regione Lazio, il Comune di Roma e le sue aziende partecipate. La contestazione totale — erariale e d’immagine — s’ipotizza sui 4-5 miliardi.

La Corte dei conti ha individuato cinquanta soggetti pubblici che hanno utilizzato in maniera impropria, e in alcuni casi fraudolenta, denaro dell’amministrazione. Appalti truccati, commesse girate verso aziende vicine. Ancora, Iva e Irpef non versate sui passaggi in nero. Le contestazioni dirette riguardano l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, l’ex amministratore dell’Ama Franco Panzironi, l’ex amministratore di Eur Spa Riccardo Mancini. E l’ex capo di gabinetto di Walter Veltroni, Luca Odevaine, esponenti della destra romana come Luca Gramazio e Antonio Lucarelli, del Partito democratico come Mirko Coratti, Eugenio Patanè e Franco Figurelli. Nei quattro fascicoli della magistratura contabile ci sono anche dirigenti comunali come Fabio Tancredi, diverse forze dell’ordine che hanno protetto le attività e informato preventivamente Massimo Carminati, i tre ufficiali e sottufficiali della Marina militare autori di una truffa collegata a Mafia capitale.

Tra i soggetti pubblici cui arriverà la contestazione della Corte dei conti non c’è il sindaco in carica, Ignazio Marino, e, per ora, neppure Salvatore Buzzi, imprenditore privato (presidente della Cooperativa 29 giugno) che, tuttavia, potrebbe essere chiamato in causa in un secondo tempo visto il rilievo acquisito dalle sue aziende nei fitti rapporti con il Comune di Roma e i suoi appalti.

Il punto di partenza dell’inchiesta amministrativa è rappresentato dai sequestri giudiziari, pari a 300 milioni, chiesti dalla procura penale alla sezione Misure di prevenzione del tribunale di sorveglianza nei confronti di dieci imputati. Altri cento milioni sono stati immobilizzati — in cinque tranche successive, gran parte prima dell’inchiesta Mafia capitale — a Ernesto Diotallevi, l’ex boss della Magliana considerato il gancio tra il gruppo romano e Cosa Nostra. Diotallevi, oltre a otto immobili in Sardegna, possiede una lussuosa casa in Fontana di Trevi diventata scrigno di un tesoro d’arte.

Il fatto che il procuratore regionale De Dominicis abbia deciso di impegnare quattro magistrati sul fronte Mafia capitale, a fronte di un ufficio che ne ha undici in tutto e soffre di fascicoli in arretrato da un anno e mezzo, e che lo abbia fatto così a ridosso dell’inchiesta della procura dimostra l’attenzione della Corte dei conti sull’argomento. Più la contestazione contabile è ravvicinata ai fatti penalmente rilevanti, meglio regge nelle successive fasi processuali.

Lo scorso ottobre la Corte dei conti aveva contestato a Roma metropolitane srl, stazione appaltante, un danno erariale per i lavori del primo tratto della Metro C (lunghi otto anni) pari a 368 milioni. In autunno si era conclusa la fase pre-istruttoria dell’inchiesta e agli indagati era stato recapitato un invito a dedurre di 12 pagine: “È stato gravemente violato il rapporto fiduciario di mandato, a garanzia del buon andamento economico dei lavori per la realizzazione della linea C della metropolitana dell’Urbe”, si leggeva. Oggi si scopre che gli appetiti di Carminati e Buzzi avevano portato il sodalizio a tentare di infiltrare l’appalto pubblico più voluminoso d’Italia: 3,7 miliardi, finanziati da Stato, Regione Lazio e Comune di Roma.
I procuratori della Corte dei conti hanno fatto notare: “Tutta l’inchiesta sulla Metro C di Roma è stata caratterizzata da una fitta oscurità e dalla difficoltà di accesso alle notizie. Le fonti ufficiali consultate spesso sono state contraddittorie”. La procura contabile ritiene che con l’arresto, e la rimozione da alcuni ruoli chiave dell’amministrazione romana di funzionari e politici, i controlli sui fatturati di Mafia capitale potranno essere più rapidi e certi.