RADICALI ROMA

Liberalizzazioni, anche quando il governo le fa tutti cercano di bloccarle

Eccolo, l’ennesimo sciopero contro le liberalizzazioni. E che “sciopero”. Stavolta saranno i farmacisti a protestare contro la terza “lenzuolata” di Bersani, un terreno sul quale il governo Prodi si è impegnato con forza fin dal primo momento, ma non incroceranno le braccia: dal 19 novembre saranno i cittadini a pagare, nel senso che dovranno mettere mano al portafoglio anche per i farmaci in fascia A, quelli convenzionati con il Servizio sanitario nazionale.

 

Tutto ciò per opporsi alla norma un emendamento passato alla Camera e ora fermo al Senato che prevede la possibilità di vendere nei supermercati anche i medicinali di fascia C, quelli a pagamento e per i quali è necessaria la ricetta medica. Così, anche in questo come in molti altri casi per esempio quando a fermarsi sono i trasporti pubblici il costo materiale di una protesta, legittima fino a quando non lede gli interessi e la libertà altrui, finisce per scaricarsi completamente sull’utente.

 

Ma ci sono molte lezioni da trarre da questa vicenda. La prima è che somiglia pericolosamente alle altre situazioni in cui ci si è trovati all’epoca delle prime decisioni in materia di liberalizzazioni “diffuse” assunte dal governo su iniziativa del ministro Bersani. I taxi, per esempio: dopo trattative estenuanti e manifestazioni di piazza, a Roma i conducenti hanno “concesso” 1.450 licenze in più, ma se ne aspettavano (anzi ne erano state promesse) ben 5 mila ma, per di più, in cambio pretendono un aumento delle tariffe del 18%.

 

A Milano la possibilità di far guidare l’auto di servizio anche ad altri ha però avuto come contraltare una crescita dei prezzi del 20%. Insomma, l’esito esattamente contrario a quel taglio dei costi che sarebbe dovuto arrivare in automatico dopo la riforma Bersani.
La seconda lezione, invece, è una conferma di quanto purtroppo già sapevamo: il Paese è d’accordo con le liberalizzazioni solo quando riguardano gli altri. Un effetto “nimby” (not in my back yard, non nel mio giardino) che evidentemente non vale soltanto per la Tav o per rigassificatori e inceneritori, ma permea tutte le categorie sociali ogni volta che ne vengono messe in discussione le abitudini consolidate.

 

Così, per assurdo, si trovano tassisti che reclamano più farmacie notturne, e, di contro, farmacisti che si lamentano della mancanza di taxi.

 

Nella veste di utenti si è favorevoli a smantellare privilegi, a immettere i servizi pubblici nel circuito della concorrenza, da membri di una categoria si fa la guerra all’affamatore del popolo (in questo caso il buon Bersani, che si è preso la briga di cominciare un duro e lungo lavoro di modernizzazione) sfoggiando una “coscienza di classe” degna degli operai marxisti del primo Novecento. Senza capire che la difesa ottusa di vecchie “rendite di posizione”, come quelle di molte professioni, esalta il lato peggiore della cosiddetta “società civile”, sempre pronta a mettere all’indice la “casta” della politica, ma, quasi mai capace di una sana autocritica.

 

Certo, anche nella vicenda liberalizzazioni la politica ha le sue colpe, e pesanti. Per molti, il vantaggio elettorale che la maggioranza dei cittadini potrebbe riconoscere a chi liberalizza è inferiore a quello assicurato da categorie, associazioni, territori cui si concede protezione. Sarà anche un consenso, quello particolaristico, che dura lo spazio di un mattino, ma per la politica miope che non guarda al di là della punta delle proprie scarpe, tanto basta. Se così non fosse, non si capirebbe, come mai tra i più strenui oppositori delle riforme di Bersani c’è chi (a parole) si definisce liberale. E non si capirebbe perché tra maggioranza e opposizione non si sia creato uno spirito unitario su questi temi. Di volta in volta, chiunque vesta i panni dell’oppositore, accusa il governo di turno di essere imbelle perché non ha il coraggio di liberare le energie che ci sono nella società, e nello stesso tempo di essere vessatorio perché si vuole penalizzare questa o quella categoria. Allora, di fronte alla Bersani ter, non sarebbe forse il caso che, per una volta, si abbandonasse la logica della contrapposizione politica e dell’ostruzionismo parlamentare a tutti i costi?
È vero, le lenzuolate di Bersani sono coperte corte, ma sono sempre meglio di niente. Consenso peloso raccolto con la peggiore demagogia: non è così che l’Italia esce dal declino.