RADICALI ROMA

Lite politica. E i santi patroni raddoppiano

Il povero San Bruno non avrebbe mai immaginato che sarebbe finito in «quota Rutelli» né San Francesco da Paola in «quota Loiero ». Ma così è andata. E alla fine, fallito il miracolo di instillare in certi politici il senso del ridicolo, un compito superiore perfino alle loro forze, i due santi si sono ritrovati lottizzati: vigileranno sulla provincia di Vibo Valentia insieme. Uno come protettore, l’altro come patrono.

 

 

La strepitosa spartizione della «commessa» religiosa è il surreale cesello a una storia di incapacità di decidere che sta paralizzando l’Italia dal centro alla periferia, da Vipiteno a Lampedusa. Dalla Tav in val di Susa al deposito di scorie nucleari a Scanzano Jonico, dalla pedemontana veneta agli inceneritori in Campania, dalla variante di valico sull’Appennino alla base militare a Vicenza, dalla definizione dei lavori usuranti al federalismo fiscale: non c’è tema sul quale destra e sinistra, lobby e clan clientelari, idealisti e bottegari non finiscano per litigare. Come poteva sfuggire a questo infausto destino la definizione burocratica di chi sarà chiamato a posare per l’eternità il suo sguardo benedicente sull’amata terra vibonese?
Nata nel 1992 senza uno straccio di santo patrono, la provincia di Vibo Valentia pareva in realtà essersi dotata del prezioso sovrintendente, sia pure dopo nove anni di attesa, già nel 2001. Quando l’assemblea, su iniziativa dell’allora assessore provinciale Pietro Giamborino, della Margherita, aveva optato per San Bruno. Una scelta subito benedetta dal vescovo, Domenico Tarcisio Cortese.

 

San Bruno, o se volete Brunone, nato a Colonia nel 1030 e morto in Calabria nel 1101, fu una delle grandi figure del cristianesimo medievale. Nemico acerrimo della simonia, cioè il mercato delle cariche ecclesiastiche (tra parentesi: nell’Italia di oggi avrebbe avuto il suo da fare con quelle politiche), fu il fondatore dei certosini e proprio in Calabria, dopo avere sofferto un lungo soggiorno a Roma dove era stato chiamato da papa Urbano II, che era stato suo allievo a Reims, aveva fondato la sua nuova certosa, nella località chiamata allora Torre, a 850 metri di altitudine, nell’area che adesso porta il suo nome, Serra San Bruno. Santo europeo, calabrese, vibonese: dove trovare di meglio?

 

Macché. Il grande certosino non aveva fatto i conti con la rottura nella Margherita calabrese. Di qua i rutelliani (tra i quali il «bruniano» Pietro Giamborino che del partito è oggi capogruppo all’assemblea regionale) di là i fedelissimi del governatore Agazio Loiero fuoriusciti con lui e fondatori del Partito Democratico Meridionale, tra i quali svetta il presidente della giunta provinciale Ottavio Bruni. Il quale, a dispetto del cognome, non è «bruniano » per niente. Al punto che, indifferente alla scelta già fatta, dopo aver cambiato partito decise qualche mese fa di cambiare anche santo di riferimento. E il 13 aprile fece approvare la delibera numero 135 con la quale si proponeva di «rivolgere richiesta ai competenti organi ecclesiastici per l’elevazione di San Francesco di Paola a patrono della provincia di Vibo». Figura luminosissima della religiosità calabrese, per carità. Lui pure eremita e fondatore di un altro ordine religioso, quello dei Minimi. Ma la nomina precedente di San Bruno? Boh…

 

San Francesco «il Subentrante », fosse ancora fra noi, si sarebbe probabilmente irritato assai. Dotato di un carattere fumantino non raro tra i calabresi, bastava niente perché si accendesse. Anzi, narra la leggenda che uno dei suoi primi miracoli fu quello che, essendosi «dimenticato di accendere il fuoco sotto la pentola dei legumi per il pranzo dei frati» poiché era troppo «assorto in preghiera in chiesa», corse «tutto confuso in cucina, dove con un segno di croce accese il fuoco di legna e dopo pochi istanti i legumi furono subito cotti». Per non dire della volta che, dovendo raggiungere la Sicilia, si sentì negare un passaggio da un barcarolo, un certo Pietro Colosa: furente per il rifiuto, posò il suo mantello sull’acqua e attraversò lo stretto così, portando «a bordo » pure due confratelli.

 

Certo è che la svolta patronale, dentro il consiglio provinciale, il centrosinistra e lo stesso partito democratico, non piacque a tutti. Anzi, i rutelliani più maliziosi videro nella rimozione di San Bruno un nuovo atto di guerra dei loieriani all’interno dello stesso partito democratico del quale sia il vicepremier «Franciasco» sia il governatore Agazio sono tra i 45 fondatori. E l’aspro confronto ha finito per aprire la strada a un compromesso. Sancito da una nuova delibera nella quale la Giunta Provinciale di centrosinistra, «richiamata la propria deliberazione n. 135 del 13-4-2007…», «considerato che sono pervenute alla presidenza dell’Ente proposte volte al riesame della suddetta deliberazione giuntale » (cioè della giunta: sic!) «volte a promuovere anche la figura di San Bruno…», «vista la proposta del consigliere provinciale Barillari Raffaello… », decideva di «riesaminare la propria deliberazione».

 

Risultato? La scelta di proporre alle autorità ecclesiastiche competenti, «di elevare San Bruno a protettore e San Francesco a patrono della provincia di Vibo Valentia ». Un momento, ha chiesto Pino Brosio sulla Gazzetta del Sud facendo ironicamente sgocciolare nuovi veleni, «viene prima il santo patrono o il santo protettore?». Ma no, ma no, si è affrettato a spiegare un prete piuttosto noto in città, monsignor Giuseppe Fiorillo: «Il messaggio dei santi è universale. È l’uomo che, cadendo nel ridicolo, tende a frazionarlo. La soluzione giusta, a questo punto, potrebbe essere quella di nominare i due santi com-patroni ». Una soluzione strabiliante. Di doroteismo celeste. Che spalancherebbe nuovi orizzonti, ma che potrebbe essere vanificata dalla proposta che già qualcuno avanza: perché non fare un referendum? Si attendono la raccolta di firme, i ricorsi, le polemiche, le accuse di brogli…