RADICALI ROMA

Manager pubblici

  Uno dei principali problemi delle società contemporanee è quello della trasparenza della pubblica amministrazione. Di molti processi decisionali che avvengono in quell’ambito non sappiamo nulla. Tutto si svolge all’interno di una legalità che, quando c’è, come minimo è opaca, utile a coprire le spalle a chi opera nel settore pubblico ma che non dice nulla su competenze ed efficienza. Siamo talmente abituati a questa condizione di “azionisti” (visto che quando parliamo di sfera pubblica parliamo di cose che ci appartengono) un po’ ebeti a cui tutto può essere rifilato, che accettiamo con rassegnazione anche gli scandali più vergognosi. Perché dunque non domandare al prossimo governo un’agenzia per la trasparenza nella sfera pubblica? Non mi riferisco ai tentativi già fatti (e spesso falliti) di migliorare (rendere più trasparenti, appunto) la comunicazione e il linguaggio contorto della burocrazia, ma alla volontà politica di spiegare nei minimi dettagli le regole (comprese le informazioni su quando e da chi approvate) con cui si gestiscono le aziende pubbliche e soprattutto all’obbligo morale di fornire notizie precise su chi le dirige e perché lo fa. La cooptazione è un sacrosanto diritto di chi, grazie al voto degli elettori, si è assunto una responsabilità politica. A lui rispondono i tecnici ed egli ne risponde agli elettori. Così in teoria. Peccato che in pratica tutti finiscono per non rispondere a nessuno.
 
Quando si parla di trasparenza, in questi ambiti, dunque, non ci si riferisce alla necessità di dare informazioni sulle iniziative prese da tecnici e manager. Va da sé che molti di questi settori richiedono riservatezza e una certa dose di discrezionalità. No, per trasparenza s’intende chiarezza di regole e attribuzione inequivoca di responsabilità. S’intende certificata e regolare verificabilità dei risultati. Solo con la trasparenza si potrà un giorno “vedere” qualche manager, funzionario, grand commis licenziato dall’ente, dal Palazzo, dall’azienda (senza prebende miliardarie e promozioni) perché non ha raggiunto i risultati previsti dal contratto. Una buona (e trasparente) agenzia della trasparenza farebbe avere a tutti noi i nomi e i curricula di chi, a spese del contribuente, dirige una qualche struttura pubblica strategica e c’informerebbe circa i compensi e i risultati a cui quei ricchi stipendi dovrebbero essere commisurati. Forse così non assisteremmo più a scandali come quello del quasi fallimento delle Ferrovie (solo l’ultimo in ordine di tempo) reso grottesco dalla notizia della richiesta da parte dell’amministratore delegato Elio Catania di una buonuscita dell’ordine di sette milioni di euro. La colpa ovviamente non è di Catania ma di chi quei soldi glieli dà e di chi non ha legato il contratto al raggiungimento di risultati concreti. Con un minimo di trasparenza, insomma, a rischiare non dovrebbero essere i  manager incapaci o bocciati ma i politici che li hanno collocati, per opportunismo o per qualche forma di “scambio”, ai vertici. Questo, ovviamente, non significa che i problemi economici e finanziari delle nostre aziende, più o meno, pubbliche siano il frutto esclusivo della mancanza di un buon “manico” dirigenziale. Esistono, lo sappiamo, situazioni e vincoli prodotti da realtà “strutturali” e diktat “politici”. Ma proprio per questo sarebbe sensato almeno evitare di farle diventare  greppie per manager “amici” e per consulenti incompetenti ma abili gestori di “clientele” o intimi di “grandi notabili”. Se mi chiamano ad allenare il Poggibonsi legando buona parte del mio stipendio al raggiungimento della salvezza, prima di accettare valuto le condizioni della squadra, dell’ambiente, le possibilità tecniche  e se ritengo il traguardo difficile o improbabile, sto a casa. Ecco: se a molti esponenti di questa specie di circo Barnum della scienza manageriale, che girano da un’azienda (spesso pubblica) all’altra con la leggerezza di farfalle, consapevoli dell’intangibilità delle loro buonuscite milionarie, venisse proposto un contratto del genere,  forse avremo modo, nel tempo, di risparmiare denaro pubblico e far emergere qualche “giovane” capace. In attesa della formazione dell’agenzia della trasparenza speriamo che qualcuno tra i pochi Zorro in circolazione (Gabanelli? Ferrara? Santoro?) possa gettare un fascio di luce nell’oscuro ginepraio di queste dirigenze irresponsabili (nella politica, nell’economia ma anche nei palazzi delle istituzioni). Ci vorrebbe qualcuno che, magari a puntate, facesse l’appello dei “cooptati” che non rispondono agli elettori ma che vivono, piuttosto agiatamente, con i soldi di tutti, e arrivasse a interrogare i politici in merito alle scelte compiute. Niente gogna: vogliamo solo conoscerli meglio e sapere cosa fanno, magari (perché no?) per riuscire ad apprezzare competenze ed attività non abbastanza valorizzate. Quando, in nome dei sacrifici, si fanno appelli al senso di responsabilità civica dei cittadini nessun angolo pubblico deve rimanere al buio.