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Operazione Tfr, sette domande al ministro Damiano

Molti aspetti dell’operazione smobilizzo del trattamento di fine rapporto sono ancora poco chiari. Eppure, dopo l’accordo sottoscritto il 19 ottobre da governo e parti sociali, l’operazione partirà fra meno di due mesi. Rivolgiamo qui alcune domande al ministro del Lavoro, Cesare Damiano. Servono per meglio informare i lettori e permettere anche a noi una valutazione più approfondita del provvedimento.

 

1. La scelta operata dai lavoratori entro il 1 giugno 2007 varrà retroattivamente? In altre parole, se un lavoratore decide entro i sei mesi di optare per il trasferimento alla previdenza integrativa, i flussi di Tfr maturati dal 1° gennaio al 1° giugno 2007 finiranno al fondo pensione oppure al fondo pubblico gestito dall’Inps?

Il dubbio viene guardando le stime delle entrate per l’Inps legate all’operazione Tfr. La Finanziaria prevede che ammonterebbero a 6,6 miliardi di euro. Ma, come mostrato da Costagli, Pammolli e Salerno , la base potenziale (gli accantonamenti per il Tfr delle imprese con più di 50 addetti) non supera gli 8,5 miliardi di euro. Questo significa che si stima implicitamente che circa il 77 per cento dei dipendenti di queste imprese opterà esplicitamente per lasciare il Tfr presso in azienda, pur sapendo che in realtà i flussi verranno destinati all’Inps. Ci sembra una scommessa contro il decollo della previdenza integrativa fin troppo ardita. Normalmente, circa il 70 per cento dei lavoratori non esercita esplicitamente un’opzione, finendo per beneficiare del silenzio assenso. Se così fosse, almeno il 70 per cento dei flussi di Tfr dei lavoratori delle grandi imprese andrebbe ai fondi pensione. A questi andrebbero poi aggiunti i flussi di chi opta esplicitamente per il Tfr.
Se, invece, i flussi dei primi sei mesi andassero automaticamente all’Inps, l’obiettivo di raccogliere 6,6 miliardi sarebbe più verosimile: 4,25 miliardi finirebbero, senza colpo ferire, nelle casse dell’Inps nei primi sei mesi del 2007. E vi si aggiungerebbero i flussi di chi decide di lasciare il Tfr presso una grande impresa nei sei mesi successivi. Si tratterebbe, in ogni caso, di entrate una tantum.

 

2. Quali cambiamenti sono previsti nell’organizzazione dell’Inps per gestire i flussi del Tfr? E quali costi comporteranno?

A differenza dei contributi previdenziali, gli accantonamenti del Tfr sono esigibili da parte dei lavoratori in un’ampia casistica (spese sanitarie, mutui, eccetera). Quindi bisognerà costruire una amministrazione ad hoc presso l’Inps per gestirli. Vi saranno anche casi complessi da affrontare come quello, ad esempio, di un lavoratore che passasse da un’impresa con più di 50 addetti a un’impresa con meno di 50. Anche se, come si sente ripetere spesso in questi giorni, l’operazione Tfr all’Inps dovesse avere la natura di un’operazione straordinaria e temporanea “per fare cassa”. Utile, dunque, avere qualche dettaglio sugli accorgimenti organizzativi che sono stati presi in considerazione e sui loro costi.

 

3. Cosa succede al fondo residuale a capitalizzazione presso l’Inps, previsto dalla normativa precedente (il decreto legislativo 2002 del 2005)?

Sin qui, la normativa prevedeva che i flussi inoptati in settori in cui non vi sia un fondo contrattuale, né un fondo collettivo prevalente verso cui sono indirizzati i flussi di una maggioranza di lavoratori, finissero presso un apposito fondo a capitalizzazione (in grado di investire sui mercati finanziari) presso l’Inps. Questa creatura abbastanza preoccupante dal punto di vista delle potenziali interferenze con la governance delle imprese è prevista anche dalla nuova normativa? Se no, a chi verranno devoluti i flussi di Tfr inoptato (sul tacito assenso) nel caso in cui non vi fosse né fondo negoziale di categoria, né fondo prevalente? La domanda è importante anche dal punto di vista organizzativo (vedi sopra) perché si tratta di capire se presso l’Inps ci saranno uno o due comparti che gestiscono il Tfr.

 

4. Si prevede di incoraggiare il decollo della previdenza complementare anche presso i lavoratori autonomi?

I lavoratori autonomi per definizione non sono coinvolti dall’operazione Tfr, ma data la maggiore aleatorietà dei loro redditi hanno forse ancor maggior bisogno di costruirsi una previdenza integrativa. La Finanziaria ha optato per aumentare i loro contributi previdenziali obbligatori, avvicinando l’aliquota contributiva a quella di computo. È nelle intenzioni del governo introdurre contributi obbligatori da devolvere a fondi pensione scelti dal lavoratore? Oppure permettere libertà di scelta ai lavoratori autonomi fra contribuire al sistema pubblico o ai fondi pensione?

5. Sono previsti interventi per scoraggiare la liquidazione del Tfr in un’unica soluzione, e di conseguenza incoraggiare la sua trasformazione in rendita vitalizia?

Soprattutto in un paese come l’Italia dove il mercato delle rendite vitalizie è sottosviluppato, può essere una scelta molto costosa per un lavoratore. Il senso dello smobilizzo Tfr verso i fondi pensione è proprio quello di garantire un vitalizio dopo il pensionamento. Si prevede perciò di apportare correttivi alla normativa, reintroducendo, un trattamento fiscale più di favore a chi non esige il Tfr, lasciando che si trasformi in rendita vitalizia?

6. Il governo ha intenzione di incoraggiare fondi collettivi multicomparto in grado di raccogliere contributi di lavoratori autonomi o del pubblico impiego?

Questo è un tema di cui molto si è discusso, ma poco è stato fatto. Ci piacerebbe capire quali sono le intenzioni del governo in merito

7. Come verranno stabiliti i requisiti necessari per far parte dei consigli di amministrazione dei fondi contrattuali?

In Italia, ancor più che altrove, c’è un serio problema di alfabetizzazione finanziaria dei membri dei consigli di amministrazione dei fondi pensione. Dunque, i requisiti per entrare a farne parte non possono che essere molto restrittivi, per tutelare i sottoscrittori del fondo pensione. Risponde al vero la tesi secondo cui basterà un breve corso di formazione per assurgere a tale carica?