Barbara Pollastrini e Rosy Bindi presenteranno nel prossimo Consiglio dei ministri del 9 febbraio un ddl «chiuso», definito, concordato in ogni articolo.
Ma i teodem della Margherita annunciano battaglia e rischiano di far saltare l’accordo faticosamente raggiunto dalle due ministre. «Le modifiche sono necessarie – sfida Enzo Carra – altrimenti non credo che da parte nostra ci sarà un voto favorevole». Il punto è che i cattolici oltranzisti chiedono il cambiamento dell’articolo 1, quello che riconosce le unioni attraverso la dichiarazione congiunta dei due conviventi all’ufficio anagrafe dei Comuni. «Non se ne parla nemmeno. L’articolo 1 non è negoziabile», fanno sapere dirigenti ds vicini alla ministra Pollastrini. L’accordo tra i due ministeri c’è già stato. La titolare delle Pari Opportunità ha ceduto sul numero di anni per il riconoscimento del diritto di successione (ne avrebbe voluti 5, ma ha «mediato» a 10) e Rosy Bindi ha accettato il riconoscimento anagrafico (non il registro da cui si era partiti). «Si creerebbe una sorta di matrimonio di serie B», va ripetendo la senatrice Paola Binetti. In gioco c’è la tenuta interna della Margherita perché lo stesso Francesco Rutelli ha detto ai suoi di non condividere affatto l’impostazione della legge che sarà firmata anche da un «suo» ministro.
Eppure siamo ben lontani dalla legge Zapateriana sui Pacs. Il ddl prevede infatti 10 anni di convivenza per far scattare i diritti successori e (ancora non è detta l’ultima – Pollastrini spera ancora di far passare la sua linea dei cinque anni) alla stessa decisione potrebbe arrivarsi anche per la pensione di reversibilità (la legge detterà le linee guida che poi dovranno essere recepite dalla riforma previdenziale). Tempi lunghi, che vanno ben oltre la durata media un matrimonio italiano. E di un divorzio. Storce il naso anche il ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio: «Cinque anni mi sembra un termine accettabile, lo stesso tempo necessario per i diritti di cittadinanza come prevede la normativa europea. Vedremo il testo – annuncia – valuteremo attentamente. Per noi resta da privilegiare la strada dell’ampliamento dei diritti». Tra tanti maldipancia un dato positivo registrato dagli «osservatori»: le norme saranno applicabili anche alle unioni già preesistenti all’ entrata in vigore della legge.
Saranno ritenuti criteri preferenziali il certificato di residenza e/o la presenza di figli. Per tutti gli altri farà fede la contestata iscrizione presso gli uffici anagrafe dei Comuni per cui sarà necessaria la dichiarazione congiunta dei conviventi. Punto su cui anche il ministro Ferrerò è fermo: «Ci mancherebbe altro che non fosse così: non si può fare come alle medie dove tutti dicevano di essere fidanzati con una ragazza che neanche lo sapeva». Ancora ieri la ministra per le Pari Opportunità ha definito la legge «saggia e equilibrata», che nulla «toglie alla famiglia, semplicemente aggiunge diritti e doveri alle persone che già hanno una convivenza». Arriverà nel prossimo cdm e lì, «ognuno si assumerà le sue responsabilità». Oltre la mediazione già fatta al ministero delle Pari Opportunità non sono disposti ad andare. I bracci di ferro sono tanti: non solo dentro la Margherita, ma nello stesso Ulivo. Senza questa legge all’attivo rischia di saltare lo stesso Partito Democratico. Questo lo sanno tutti, anche Mastella, il «neocentrista». Che ribadisce: «Su questi temi non cambio idea, quel ddl non lo posso votare. So che le colleghe stanno lavorando con grande serietà, rispetto il loro lavoro, ma per me la legge è inaccettabile», risponde ancora a casa bloccato dall’influenza, «ma per fortuna sto sfebbrando». Su questo il Guardasigilli è sulla linea dei teodem: la certificazione anagrafica e il riconoscimento delle coppie gay sono inaccettabili. Il deputato ds Franco Grillini, che non sottovaluta le manovre vaticane e gli appelli del cardinale Camillo Ruini (dietro indicazione del Papa) per fermare la legge avverte: «Noi faremo battaglia in Parlamento perché già i termini previsti adesso per il riconoscimento dei diritti ci sembrano davvero esagerati, figuriamoci il resto».