Il Partito democratico ha due problemi: il progetto e il leader. Vanno risolti entrambi e in tempi molto brevi, certo non oltre l’autunno: il brutto risultato delle elezioni amministrative sotto questo aspetto ha il sapore dell’ultimo avviso. Ecco perché emerge il nome di Walter Veltroni. Il sindaco di Roma è il solo nome che può essere speso con successo per dare un senso e un’identità a un soggetto politico che finora ha sedotto nessuno. I tempi lunghi, le strategie furbesche, il gioco del “vai avanti tu cosi ti bruci” non sono più conciliabili con la crisi di consenso in cui versa i «riformisti». I Ds, in particolare, sono sotto attacco. Sulla vicenda Unipol appaiono frastornati, quasi sempre sulla difensiva, incapaci di una reazione orgogliosa che vada oltre le parole.
Ecco perché la carta Veltroni va giocata subito. E l’unica iniziativa che i Ds possono mettere in campo per uscire dall’angolo. Al tempo stesso è la sola ipotesi percorribile per offrire un punto d’equilibrio al patto Quercia-Margherita, facendo capire all’opinione pubblica cosa dovrà essere il Partito democratico. Il sindaco di Roma è tutt’altro che un novizio della politica, ma nel tempo si è saggiamente costruito un’immagine lontana dai palazzi dei partiti. Ed è riuscito, in tempi di magra, a raggiungere indici di popolarità sconosciuti a qualsiasi altro leader politico escluso Berlusconi.
Veltroni è l’uomo in grado di tirare fuori dal guado il Partito democratico. A due condizioni. La prima: che sappia pronunciare in fretta il suo convinto «sì», rimboccandosi le maniche e cominciando a lavorare per il futuro. La seconda: che il suo avvento alla guida del partito sia collegato a un progetto politico per il Paese e prepari un cambio della guardia a Palazzo Chigi.
Del resto, quest’ultima prospettiva è nelle cose. Non si può immaginare al timone del Partito democratico un personaggio come Veltroni, dall’immagine così forte in termini politici, senza ammettere che la convivenza con Prodi diventerebbe presto impossibile. Veltroni è la cura per la malattia infantile del nuovo soggetto, ma la sua elezione sarà destabilizzante per il governo. Due leadership nonpossono coesistere. Soprattutto se il più giovane rischia il logoramento nell’attesa del ricambio. D’altra parte, il sindaco farebbe male ad esitare. Il treno sta passando ora e non è detto che ripassi una seconda volta. O Veltroni lega il suo nome all’atto fondativo del Partito democratico o corre il pericolo di essere tagliato fuori. Quanto al centro-destra, la visita al Quirinale è apparsa sotto tono per almeno due motivi. Innanzitutto perché ha sancito non l’unità, ma la divisione della Casa delle libertà. Non solo per la scontata assenza dell’Udc di Casini. Ma soprattutto per le differenze di acc enti fra i protagonisti. Di fronte a una Lega che continua a reclamare le elezioni, e che afferma essere stata questa la richiesta rivolta a Napolitano, abbiamo un Berlusconi molto più cauto. Il leader parla, insieme a Fini, di «discredito della politica», di governo incapace di governare, di sondaggi disastrosi per il centro-sinistra. In sostanza, non c’è la richiesta di voto anticipato. Si rispettano al riguardo le prerogative del capo dello Stato di fronte a un governo in difficoltà, ma che gode della fiducia delle Camere. Berlusconi ha compiuto un legittimo passo politico, pur restando nell’alveo del rispetto costituzionale. E l’enfasi che nei giorni scorsi aveva accompagnato l’annuncio della salita al Colle era davvero eccessiva.