Prima «dovrà toccare alle banche e le assicurazioni, poi verrà estesa a tutti gli altri settori». Cesare Salvi, senatore diessino e presidente della Commissione giustizia di Palazzo Madama dove la legge per introdurre la possibilità di fare cause collettive (class action ) dovrà arrivare dopo l’approvazione della Camera, ritiene che il testo predisposto dal governo vada modificato profondamente «per evitare un eccesso di litigiosità come è accaduto negli Usa». «Si tratta di una vera e propria rivoluzione nell’economia ma bisogna stare attenti a non fare pasticci, ìnsomma meglio evitare l’effetto taxi».
In che senso pasticci…
«Anche negli Stati Uniti, dove la class action è nata nel 1930, è in corso un ripensamento legislativo proprio sul connubio tra il patto di quota-lite e il loro sistema risarcitorio. Quindi stiamo attenti a importare il modello americano senza tener conto di queste critiche e delle profonde differenze tra i due sistemi. In pratica, negli Usa, la gran parte delle cause supermiliardarie alla fine ha arricchito gli avvocati più che risarcire i consumatori».
Un passo indietro. Cosa intende per quota-lite?
«È così chiamata la legge, approvata nello scorso agosto, che prevede l’abolizione del divieto del patto di quota-lite. Vale a dire il divieto che finora impediva ai professionisti, avvocati compresi, di pattuire compensi parametrati al risultato del processo».
E lei cosa suggerisce?
«Secondo me andrebbe previsto un sistema diverso dalla quota-lite per le azioni collettive».
Ci sono ben sei proposte di legge sulla class action. Può spiegare come stanno le cose?
«Tra queste c’è un testo di legge del governo che sostanzialmente ricalca quello bipartisan approvato nella scorsa legislatura dalla sola Camera dei deputati. Gli altri si ispirano a iniziative parlamentari della maggioranza e dell’opposizione. In gioco ci sono due modelli: uno, adottato dal governo, che consente l’avvio dell’azione risarcitoria solo da parte di soggetti collettivi come le associazioni di consumatori, le camere di commercio, le associazioni di professionisti (che non è ben chiaro cosa siano). L’altro, più vicino al modello americano, permette l’azione a chiunque vi abbia interesse, compresi i singoli individui. In quest’ultima direzione è interessante la proposta fatta da Daniele Capezzone».
Può fare un esempio?
«Quello più chiaro riguarda il prodotto medicinale difettoso. Il giudice può stabilire, a fronte di un singolo promotore, l’azione risarcitoria per tutti quelli che possono dimostrare di avere subito danni da quella medicina».
Perché il modello americano è di difficile importazione?
«Il motivo sta nelle profonde differenze giuridiche tra il sistema anglosassone e quello europeo. Da noi, per esempio, il giudicato vale solo tra le parti, mentre nel sistema americano il giudicato riguarda tutte le persone coinvolte in quella classe di danni anche se non sono state chiamate in causa. Questo si può fare perché il giudice americano ha molti più poteri del nostro: è lui, per esempio, che valuta se il numero dei consumatori coinvolti ha attendibilità o meno sul piano della rappresentatività. Da noi, poi, c’è l’articolo 24 della Costituzione il quale prevede che tutti hanno diritto ad agire in giudizio».
E cosa propone la legge in discussione?
«Il testo di legge bipartisan prevede che l’azione risarcitoria debba partire dalle associazioni riconosciute. Poi è nato il quesito: ma la causa produce effetti solo per loro o per tutti i consumatori? Per tentare di risolverlo è stato allestito un meccanismo a tre fasi. Prima l’azione promossa dalle associazioni, poi un tentativo di pace conciliativa, poi l’azione dei singoli consumatori. È un sistema molto complesso e macchinoso che, vista la situazione della giustizia italiana, può comportare tempi lunghissimi. Insomma, come si vede, ci sono molti aspetti sui quali riflettere».
Perché sotto il governo Berlusconi, la vecchia legge sulla Class Action si è arenata al Senato?
«La hanno affossata le lobby, preoccupate dall’introduzione di meccanismi di questo tipo oltre alle difficoltà tecniche di cui parlavo. Ora bisogna procedere ma la mia opinione è che il testo del governo vada modificato profondamente».
L’Europa come si sta muovendo?
«La Francia e la Germania stanno varando anche loro una legislazione modellata sul diritto europeo ed hanno esattamente i nostri problemi: fare una legge che sia funzionale ed efficace e non persecutoria. E con una procedura snella e semplice per non intasare i tribunali».
È vero che lei sostiene una introduzione graduale della class action?
«Sì. Sono convinto che dovremmo prima partire da settori, diciamo così laboratorio, come le banche e le assicurazioni. Così com’è scritto adesso il testo di legge è troppo generalizzato. Potrebbe, faccio una ipotesi estrema, consentire anche a un gruppo di condomini di agire contro il negoziante sotto casa».
Lei prima citava le lobby. Quali sono e in che modo si sono mosse per stoppare la legge?
«Tutte le categorie della grande industria hanno sollevato eccezioni tecnico-giuridico che peraltro vanno ascoltate. Ma non possono fare come Bertoldo che non trovava mai l’albero a cui impiccarsi. Devono essere propositive perché la legge va fatta ed è giusto che si faccia per tutelare i consumatori oggi in una condizione di estrema debolezza rispetto al potere della grande impresa».
Viste tutte queste difficoltà, la legge riuscirà a vedere la luce entro il 2007?
«Secondo me sì, ancora qualche mese e la legge verrà approvata. Basta non farsi prendere né dall’entusiasmo né subire le resistenze».
Lei ha detto che occorre evitare l’effetto taxi. È una critica al ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani ?
«No. Il ministro Bersani e il governo nel suo insieme hanno avuto il grande merito di porre per la prima volta il consumatore al centro dell’azione legislativa. Ma non dimentichiamo che se poi i meccanismi non funzionano c’è il contraccolpo negativo. Le cose vanno dunque fatte bene».
Secondo lei la class action modello italiano potrà coinvolgere i risparmiatori colpiti dai bond Parmalat e Cirio?
«Potrebbe farlo. Non ci sono ostacoli costituzionali. Serve però una disciplina transitoria, essendoci processi già in corso».