RADICALI ROMA

Scatta l'effetto domino su Walter: costretto a dimettersi da sindaco

  E adesso, la caduta di Prodi ha un altro effetto «collaterale» micidiale su Walter Veltroni. Entro il 24 febbraio, infatti, il sindaco di Roma, per il complicato meccanismo dei calendari elettorali e delle incompatibilità, è costretto a dare le dimissioni dal suo ruolo di primo cittadino capitolino. Come mai? Per un semplice motivo: la legge di razionalizzazione dei turni elettorali, vuole che i Consigli comunali debbano essere sciolti almeno 60 giorni prima del turno elettorale. Ma Il. primo turno utile, per Roma, è quello di giugno. Il sindaco, invece, ha la possibilità di dimettersi quando vuote, per partecipare alle elezioni politiche, a sette giorni dalla convocazione dei turni elettorali. Ma se Veltroni sindaco-candidato temporeggia troppo a lungo e ritarda la sua discesa in campo, Romacittà perde lo «slot» elettorale di fine stagione.

 

 

 

Incroci pericolosi

 

 

 

Morale della favola, incorciando questi due complessi meccanismi di scadenze, si ha un problema politico amministrativo molto semplice: se Veltroni si dimette subito, anche la giunta si può sciogliere in tempo, per il prossimo turno elettorale, e in ogni caso, la città resterebbe commissariata dal giorno delle sue dimissioni fino al votò. Ma se invece si dimette dopo il 24 febbraio, Roma-città perde l’opportunità di essere inserita in questo turno elettorale, e le comunali capitolino verrebbero rimandate automaticamente all’anno prossimo, con la conseguenza di avere un commissario al Campidoglio per oltre un anno.

 

 

 

Ovviamente questo comporta due macroscopici problemi politici. Il primo, ovviamente, di immagine. Il «modello Roma», uno dei valori aggiunti nella candidatura di Veltroni sarebbe costretto a concludersi con un mandato incompiuto, e con un periodo di vacanza. E l’ex sindaco sarebbe costretto per oltre un anno, ad affrontare una campagna elettorale, all’insegna di un’accusa micidiale, quella di «aver abbandonato» la città.

 

 

 

Ma poi c’è anche un problema di natura interna, nelle delicatissime logiche della coalizione e del suo stesso partito. Se Veltroni si dimettesse adesso, «al buio», dovrebbe motivare la sua decisione con un’unica fortissima ragione: quella di essere chiamato a un compito più importante, la guida della coalizione. Ma il sindaco di Roma, in questo momento, non solo non è investito dai suoi possibili (?) o eventuali (?) alleati, ma nemmeno dal suo stesso partito, dove la bozza di statuto, che vedeva automaticamente il segretario del partito designato alla guida della competizione elettorale, non è stata ancora formalmente approvata.

 

 

 

Tempi stretti 

 

Insomma, come in una spericolata mano di Teresina, Veltroni per la prima volta in vita sua, forse, deve girare le carte prima: nel momento di massima crisi della sua coalizione, inseguito dalle recriminazioni di Romano Prodi, che è giunto addirittura a ventilare in via informale la possibilità di una candidatura contraria , quella del primo cittadino di Roma, deve in tempi strettissimi annunciare l’intenzione di candidarsi o meno alle politiche.

 

 

 

Concorrenti agguerriti

 

Ieri, uno di coloro che si candida alla sua successione, Willer Bordon, si domandava incuriosito: «Non so che cosa abbia in mente: ma non vorrei essere nei suoi panni. Perché deve scegliere fra un’ipotesi difficile e una devastante». Infine, ultimo, ma non certo per importanza, è il nodo della successione: chi correrà probabilmente contro Fini, nella capitale? Negli ultimi giorni salivano le quotazioni del presidente della Provincia Enrico Gasbarra (ex Ppi). Ma si sa che un pensierino ce lo fa da sempre il ministro Giovanna Melandri e che molto più di una tentazione pervade il «plenipotenziario» di Veltroni, Goffredo Bottini. Tre problemi non da poco, da risolvere nei prossimi giorni.