RADICALI ROMA

Una pillola e troppe ipocrisie

C’è aria di schizofrenia in materia di aborto volontario. Se andate in un qualsiasi motore di ricerca e digitate «sindrome del boia» finite sul sito del Movimento per la Vita che spiega, per penna di uno psicologo, che questo è il modo per definire le conseguenze della scelta, il dramma delle donne che hanno abortito, il loro pentimento e la loro condanna. Quanta delicatezza! Eppure il Movimento per la Vita opera in questo settore con ben altra attenzione. Perché questo livore?
Leggo le polemiche sulla pillola abortiva (sarebbe bene dire “le” pillole abortive: sono due, il mifepristone e le prostaglandine) e contemporaneamente scopro che in Italia è in vendita una pillola, a cui nessuno sembra far caso, che non è classificata come abortiva ma che viene utilizzata, evidentemente in modo improprio, proprio a questo scopo. La usano le nuove cittadine e questa è l’unica cosa che sono riuscito a sapere. Cosa sia, che effetti collaterali possa avere, che funzioni oppure no, non lo so, chi me ne ha parlato si è poi chiuso in un sospettoso silenzio. Sono l’unico ad averne sentito parlare? Non credo proprio. E, tanto per dire, chi fa le ricette?
Mi viene in mente l’apiolo, la sostanza abortigena contenuta nel prezzemolo. Le prime persone che ho visto morire sono state due donne che avevano bevuto – o meglio così credevo – un decotto di prezzemolo per interrompere la gravidanza, e io immaginavo pentoloni fumanti e antri di streghe, finchè scoprii che molte farmacie, in Europa, avevano da qualche parte un vaso di vetro che conteneva compresse di apiolo, nel disinteresse generale, nessuno che si preoccupasse non tanto della legalità dell’assunzione quanto dei rischi che comportava.
Bella medicina, brave persone.
C’è poi molta disinformazione sulla pillola abortiva in sperimentazione in Italia, tanto da costringermi a trovare un po’ di letteratura medica, tutta roba vecchia, dato che il problema è superato ovunque tranne che da noi e, mi pare, in Portogallo e in Lussemburgo. Trovo una ricerca clinica relativa a 15.000 donne che hanno assunto mifepristone e prostaglandine entro il 49° giorno di amenorrea, quindi molto precocemente. Ecco i risultati: 95% di aborti completi, per i quali non è stato necessario alcun intervento; 1,2% di casi in cui la gravidanza non è stata interrotta, i farmaci hanno fallito; 2,8% di espulsioni incomplete e 0,7% di procedure chirurgiche emostatiche. In definitiva, 95 volte su 100 è stato possibile interrompere una gravidanza senza ricorrere a interventi, senza anestesia, senza rischi chirurgici.
Se poi qualcuno vuole sapere quali sono i rischi chirurgici, vada a leggersi le relazioni dei ministri della Sanità, ci troverà citate le perforazioni dell’utero e altre consimili gradevolezze. Non ci troverà invece alcun riferimento al fatto che questi interventi sono causa di sterilità secondaria e di aborto da insufficienza cervico-sigmentaria.
Leggo molte cose sulle pillole abortive che mi sorprendono. Leggo che è necessario il ricovero ospedaliero (art. 8 della 194: l’interruzione di gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale. E allora?).
Leggo che le pillole non vanno bene perché le donne non soffrono abbastanza. Dunque non basta la sindrome del boia, il carnefice deve essere anche vittima dei suoi stessi strumenti, mi pare che ci sia un po’ di confusione. E, a parte ciò, le prostaglandine fanno venire un po’ di mal di pancia, forse basterebbe darne un po’ di più e tutti sarebbero contenti.
Quello che non trovo da nessuna parte è cosa ne pensano le donne, di questa strana situazione. Secondo me sono sbalordite e offese, ma forse hanno troppa dignità per esprimere questi sentimenti. Perché quello che vedono è questo: c’è un farmaco usato in tutta Europa che potrebbe diminuire i loro rischi personali quando decidono di interrompere – per problemi di salute – una gravidanza che non avevano pianificato. Questo farmaco, che dovrebbe essere sottoposto a sperimentazione(?), non si può usare perché non solo diminuisce le loro sofferenze, ma evita il trauma del ricovero ospedaliero, almeno 95 volte su 100. Dunque impedisce che paghino un prezzo adeguato per l’errore che commettono. Credo che un ulteriore sentimento potrebbe essere l’indignazione.
In realtà tutto ciò che può facilitare anche solo teoricamente la scelta di abortire viene e verrà ostacolato. In un’importante istituzione di bioetica è stato esaminato il progetto di utilizzare cellule prelevate da feti abortiti per curare una malattia del sistema nervoso. Un noto bioeticista cattolico si è dichiarato favorevole purché fossero esclusi gli aborti volontari.
Capite? Già immagino plotoni di donne che andrebbero festosamente ad abortire per fornire materiale utile alla ricerca. C’era una volta il buon senso.