Il modo stentoreo col quale la sinistra governativa denuncia l’«ingerenza vaticana», è la replica di un’incomunicabilità vistosa; e di categorie culturali datate, incapaci di rimodellare il dualismo Stato- Chiesa. Ma non offre novità neppure il sostegno acritico e a volte strumentale del centrodestra alle parole del Papa. Silvio Berlusconi è già immerso in una lunga campagna elettorale senza data del voto. E sembra scegliere il binomio Chiesa- ordine per logorare il governo. Le lodi al Pontefice e la presenza alla marcia del sindaco Letizia Moratti a Milano appaiono pezzi della stessa strategia.
Per l’Unione lo scontro assume contorni taglienti. La legge sulle unioni di fatto è in bilico. Ministri come Mastella e singoli eletti anticipano che non voteranno il provvedimento con una convinzione più forte che nel passato. Non significa che sono diventati numerosi: è solo più debole il fronte dei «Dico». E la pressione vaticana aumenta dopo le dimissioni di Ruini del 7 marzo.
Il rettore dell’ateneo Lateranense, monsignor Rino Fisichella, annuncia che la Cei discuterà la «Nota impegnativa» sulle unioni di fatto il 26 marzo, quasi in parallelo col Parlamento: una coincidenza quasi minacciosa. Ma soprattutto, le parole del Papa contengono espressioni che sono riferite alla situazione italiana. Si conferma un’offensiva concentrata sul Paese considerato la «vetrina» più vicina e strategica del cattolicesimo.
Non è detto che la pressione abbia successo. Ma sulla carta, al Senato i voti non bastano. E comunque, per il Vaticano il risultato sembra meno importante dell’esigenza di affermare principi «non negoziabili». Su questo sfondo, la sintonia che il centrodestra accredita viene incassata oltre Tevere, senza rilasciare deleghe. Ma per i cattolici al governo la situazione si complica. Il loro sforzo di distinguere fra laicità e convinzioni religiose potrebbe assumere contorni laceranti. Anche perché a tracciarli ora è Benedetto XVI: l’«alibi Ruini» è caduto.