RADICALI ROMA

Unioni civili al X Municipio di Roma, Ruini ricordi che il popolo è sovrano

  “Si tratta di unioni tra persone dello stesso sesso e si tenta di legittimare qualcosa di simile a un matrimonio, attuando una pervicace volontà e scelta ideologica, socialmente distruttiva oltre che inammissibile sul piano giuridico e ancor più su quello morale”.

 

 

 

 Così il cardinale Camillo Ruini ha commentato il voto del X Municipio di Roma che istituisce il registro delle unioni civili per le persone legate da vincoli affettivi. A quella del cardinale è seguita la reazione ancora più violenta e scomposta della vicesindaca di Roma, Maria Pia Garavaglia, che parla di trincee ideologiche, fughe in avanti, propaganda anticlericale. Stiamo ai fatti. Le unioni civili sono realtà in molti comuni d’Italia, tra cui Pisa, Empoli, Bologna, Firenze, Voghera, Arezzo, nonostante le iniziative del Coreco, del Tar e persino del ministero degli interni (è il caso di Fano) di annullare tali delibere. Era il 20 febbraio del 1998 quando a Pisa la prima coppia si è unita civilmente, il caso ha voluto che fosse una coppia eterosessuale con una figlia.

 

 

 

 In Europa i Paesi che regolano le unioni civili e le unioni tra persone dello stesso sesso sono la maggioranza: Danimarca, Svezia, Olanda, Spagna, Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo. Da settembre anche il comune di Londra si è dotato di un registro per la formalizzazione delle unioni. Lo stesso Romano Prodi ha ribadito durante il seminario di San Martino in Campo che c’è accordo nell’ Unione per stabilire diritti privati e pubblici delle coppie di fatto.

 

 

 

 Ma allora di cosa stiamo parlando? La delibera che gira per i municipi romani in questi giorni (il X e l’XI, per ora) cita l’articolo 29 della Costituzione: la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio; e tuttavia non esclude «l’esistenza di realtà e formazioni sociali le cui finalità siano meritevoli di tutela» rispettando il principio del sostegno al piena sviluppo della persona umana.

 

 

 

 Al centro della deliberazione c’è la persona, anzi le persone con vincoli di affettività e mutuo aiuto, senza la necessità d’individuarne le attitudini sessuali. La delibera, definita improvvida da Ruini, non toglie nulla a nessuno, ma anzi aggiunge, amplia la sfera dei diritti esigibili, dei servizi e delle opportunità. E le persone che potrebbero beneficiare di questa iniziativa sono una parte consistente della società reale, sono certamente i gay e le lesbiche che condividono un progetto d’amore e di vita, ma anche gli anziani sempre più soli e le giovani coppie, che decidono di non sposarsi per scelta di libertà, per stile di vita o per le cautele dovute alla precarietà esistenziale che pervade le nostre città.

 

 

 

 Insomma è uno spaccato di società, di bisogni e materialità delle condizioni di vita che si impone al legislatore e non viceversa. Certo serve una legge nazionale, ma intanto i governi locali, per non morire di mera ammministrazione o di buon governo incolore, possono sentirsi in grado d’interpretare la soci età e le sue mutazioni? I governi locali hanno o no la forza di sfuggire alla mediazione politicista e di riproporre il tema del governo e della trasformazione sociale?

 

 

 

 Insomma, se non riusciamo ad imporre, su scala locale e nazionale, il tema dei diritti civili, per farne anima e corpo dell’intreccio tra movimenti e nessi amministrativi, per che cosa governiamo oggi le città e, si spera, domani il Paese? Altro che legge del pendolo, su questi temi, stante l’offensiva e le invasioni di campo delle gerarchie vaticane, rischiamo, a Roma come altrove, la riproposizione di quello “spirito della conservazione” che tanta parte ha avuto nella vicenda sociale e culturale della Capitale, dalla Controriforma a Porta Pia.

 

 

 

 Le parole del cardinale Ruini sono francamente inaccettabili soprattutto perché riferite ad una decisione presa da un consiglio democraticamente eletto (per la cronaca ha votato a favore anche la Margherita con inaspettate astensioni anche nel centro destra). E’ Ruini che deve scegliere: autorità morale super partes con una missione ed uno sguardo posto sul destino dell’umanità o leader di una fazione politica che interviene e influenza la vita sociale di città, quartieri e magari condomini?

 

 

 

 In questo ultimo caso deve sapere che, in politica, il dogma dell’infallibilità non esiste (peraltro anche sul piano della dottrina della fede è un dogma di ultima generazione, deciso dal Concilio Vaticano I con la Costituzione Pastor Aeternus nel 1870) e che quindi ognuno è soggetto a errore, critica e conflitto.

 

  A Maria Pia Garavaglia, onesta e stimata vicesindaca, sarebbe bene ricordare che a Roma circola da sempre un vecchio adagio che più e meno dice che quando San Pietro (la riva destra) parla e il Campidoglio (la riva sinistra) tace si rompe l’equilibrio tra il carisma confessionale e le prerogative della repubblica e le cose, per la città, volgono al peggio. Se poi la vicesindaca confonde le rive allora la situazione si fa davvero seria; non soltanto per Rifondazione, nè solo per il movimento dei diritti civili, ma per la città tutta che da sempre fatica a trovare una dimensione laica e a traguardare un futuro di comunità solidale che investa tutta la sua storia e la sua autorevolezza nella valorizzazione delle differenze. Di tutte le differenze.