RADICALI ROMA

Welby non può attendere

Un atto di notevole civiltà umana e politica e di evidente valore morale è accaduto giovedì con la pubblicazione su questo giornale del testo a firma Anna Finocchiaro e Ignazio Marino a proposito del “testamento biologico” che vuol dire disporre per tempo in modo da non essere trascinati dall´accanimento terapeutico a forme disumane di apparente sopravvivenza ai confini della vita, anzi quando tutto ciò che chiamiamo vita finisce.
La competenza di Ignazio Marino, insieme con la risoluta persuasione della capogruppo Ds al Senato danno a questo testo il tono netto di manifesto che potrà essere di guida in un percorso tutt´altro che facile. C´è un di più da notare: la determinazione di non negare il lavoro senza sosta dell´Associazione Luca Coscioni.

Associazione la cui voce è apertamente riconosciuta nel testo Finocchiaro-Marino che non ignora, di questa materia, alcun passaggio.
Ma chi è sensibile a questa voce sa di trovarsi di fronte l´appello civile e tragico di Piergiorgio Welby e sa che è necessario rispondere.
Diciamo prima di tutto che – a partire dalla lettera di Welby al Capo dello Stato e dalla immediata risposta a quella lettera di Giorgio Napolitano – si è aperta in Italia una nuova e più alta stagione di civiltà in cui nessuno finge, coprendosi di buone parole, di non sapere e di non vedere l´immensità del dolore di alcuni, situazioni estreme in cui l´attesa è disumana e impossibile.

Dunque è necessario tornare sulla questione “fine della vita” detta convenzionalmente “eutanasia”. Non c´è alcuna convenienza politica a sollevare il tremendo problema. Non c´è alcun tornaconto umano o psicologico né alcuna consolazione affrontando questo argomento.
Esperienza, saggezza, intelligenza politica suggeriscono il tracciato indicato nel testo pubblicato giovedì su l´Unità: un atteggiamento netto e mite che si ferma dove diventa impossibile che credenti e non credenti procedano insieme.
La mattina di giovedì, a commento immediato del testo de l´Unità Marco Pannella ha detto a Radio Radicale il suo pieno apprezzamento per quello scritto-manifesto. E ha ricordato due cose: la prima, quanta strada di civiltà ha fatto in poco tempo il nostro Paese cominciando a smuovere subito ostacoli e malintesi enormi. La seconda, Piergiorgio Welby è sempre in attesa. E si tratta di una attesa il cui costo è umanamente impossibile. Paradossalmente il caso – e il momento, e il dibattito – sono resi ancora più gravi e urgenti dalla intelligente e comprensiva responsabilità di chi, come Finocchiaro e Marino, ha accettato di non scartare e di non ignorare l´argomento. Essi infatti giustamente indicano i delicatissimi e non facili passaggi per consentire alla opinione pubblica italiana di uscire dalla nebbia della realtà negata, per accostarsi senza spaccature e traumi insopportabili, a una visione più vera e più nitida del confine vita-morte e dell´ostacolo cieco dell´accanimento terapeutico.

Con indiscutibile senso politico affermano: «Qui di eutanasia non si parla». Dunque dal loro discorso, che è nobile e condivisibile, resta fuori, in quel suo limbo atroce, Piergiorgio Welby e la sua civile e disperata volontà. Ma resta un vuoto anche nella limpida argomentazione sul testamento biologico. Una volta stabilito il diritto di non essere trascinati su e giù lungo il confine della vita, sia pure con la buona intenzione di non cedere alla morte, come si può tornare indietro, tornare al capezzale di Piergiorgio Welby, che intanto sta aspettando nel dolore? Chi, in che modo, si assumerà la responsabilità di lasciarlo giacere da solo per la ragione – assolutamente fondata ma per lui insopportabile, dunque inaccettabile – che non tornano i tempi, che prima bisogna lavorare cautamente e saggiamente al testamento biologico, e che tale lavoro non si può bloccare chiedendo e sostenendo l’impossibile richiesta di Welby? So che sto forzando il senso del discorso Finocchiaro-Marino, e rischio di danneggiare il solido e utile processo logico da essi seguito. Ma non riesco a tagliare da questo drammatico film il fotogramma Welby. Non credo che si possa. Non credo che si debba. E non credo che ci sia il tempo ragionevole e paziente richiesto dai normali processi di decisione politica.