Di Simone Sapienza.
Il “bene comune” non sono i profitti delle scuole di musica che non pagano l’affitto.
Un esercito di associazioni, cooperative, fondazioni, in questi decenni a Roma ha avuto la possibilità di svolgere la propria attività (corsi di musica, danza, yoga, pilates e chi più ne ha più ne metta), con un canone calmierato o senza alcun costo di affitto e utenze. In perfetta concorrenza sleale con il resto delle attività che in questi stessi ambiti devono sobbarcarsi gli affitti salati della Capitale.
Tutto ciò in buona parte è accaduto grazie alla protezione di giunte e consiglieri amici: i campioni delle preferenze. Tramite l’accumularsi di quelle “manovrine d’aula” ad ogni bilancio in Campidoglio, che Riccardo Magi denunciò per primo in consiglio comunale nel silenzio di destra e sinistra. Un modello fondato negli anni soprattutto sulla malagestione degli immobili comunali e poi sul giro della cultura e dell’arte a Roma. Oltre ovviamente ai favori sulle case popolari, altro bubbone inossidabile e a quanto pare inscalfibile.
Questo esercito autodefinitosi “bene comune urbano” ha provocato un danno erariale stimato intorno ai cento milioni di euro, su cui è intervenuta la corte dei conti con la la delibera 140.
La sindaca finora ha fatto sapere che saranno presi provvedimenti in modo prioritario sulle attività commerciali che occupano stabili del comune e hanno accumulato addirittura debiti nonostante gli affitti calmierati.
Ma anche la cultura, l’arte e il pilates, se gestite con profitti privati, devono rispettare legalità e concorrenza con gli altri operatori.
A Virginia Raggi e all’assessore Mazzillo dunque arrivi l’invito di chi come noi Radicali le chiede di non cedere nonostante le manifestazioni che si succederanno della rete “Decide Roma”, che in questi giorni prova a resistere ai tentativi del comune di stabilire un minimo di legalità.
Se il Movimento 5 Stelle vuole cambiare il “modello Roma”, è indispensabile indire nuove gare aperte a tutti, in cui si presentino progetti diversi corrispondenti allo scopo sociale dichiarato nel bando. E lo stesso vale per le sedi regalate ai partiti, che come Radicali proponiamo di convertire in spazi di coworking civico aperto alla molteplicità di comitati, movimenti e associazioni presenti nei municipi.
Non pensino i consiglieri di maggioranza di rimanere a lungo immuni dal sistema. Perché per quanto onesti, se non comprenderanno la scorrettezza di questo modello di gestione del patrimonio pubblico, ne finiranno inevitabilmente invischiati, potendo usare con discrezionalità la prerogativa di condizionare le scelte dell’amministrazione. Proviamo ad imparare qualcosa dall’inchiesta “Mafia Capitale”?
Solo con questo approccio aperto e coraggioso Roma potrà tornare a respirare. E i giovani torneranno a credere che in questa città è possibile creare un’attività e avere successo senza passare dalla protezione “mafiosa” dei politici di turno. Politici che poi da anni a Roma sono sempre gli stessi, potendo gestire un bacino elettorale che spesso si tramanda di padre in figlio, al di là dei movimenti politici di appartenenza.