Al Piccolo Eliseo Patroni Griffi Pino Caruso è Antonino Calderone, mafioso senza talento e senza voglia.
di Lucio De Angelis
Fino al 21 febbraio l’incomparabile Pino Caruso porta in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi “Mi chiamo Antonino Calderone”, che Dacia Maraini ha scritto, ispirandosi al libro di Pino Arlacchi “Tutti gli uomini del disonore”.
Calderone é mafioso appartenente alla famiglia catanese, sopraffatto dalla violenza e dalla rapacità dei corleonesi che, a furia di brutalità cieca e delitti spietati, hanno preso in mano la criminalità organizzata siciliana.
Antonino è uomo mite, non portato per carattere ai delitti, ma trascinato dalla storia familiare e dall’intimità col fratello, mafioso di rango, a pungersi il dito e accendere col fiammifero la famosa immaginetta della Madonna, costretto a fare sue le regole dell’omertà e del terrore, fino al punto da partecipare all’uccisione di tre bambini che avevano assistito senza saperlo all’assassinio di un “ribelle” e che fa nascere nel suo cuore incallito un barlume di indignazione.
Da quel momento comincia a tenersi da parte, a chiudersi in casa, a rifiutare la partecipazione attiva alle imprese della mafia. E infine, dopo l’omicidio del fratello decide di fuggire all’estero. Dove comunque non ha pace, fra i sospetti della polizia internazionale, le vecchie denuncie che tornano attive, la vendetta dei corleonesi che continua a gravare sulla sua testa.
Il racconto che ci fa, certo pecca di reticenze, di deformazioni, di aggiustamenti di punti di vista. Ma il fondo è sincero e lo si capisce dal tono delle verità che racconta. Palesemente semplice nella sua implicita complicazione, ci rivela piano piano se stesso, le ombre che premono sulla sua coscienza.
La cosa sorprendente è che tutto contribuisce alla formazione di un giudizio obiettivo sulla mafia. E il giudizio personale non può non trasformarsi in una schietta consapevolezza culturale di un popolo che fino ad oggi è stato prigioniero dalla filosofia del “tanto non cambierà mai niente”.
Le opere e i giorni di un mafioso, e il mondo arcaico e brutale di Cosa nostra siciliana non sono mai stati fatti rivivere a teatro con la stessa vividezza, intelligenza e profondità dell’interpretazione di Pino Caruso.
La scelta di una chiave espressiva che aderisce strettamente ai fatti ed ai personaggi, i toni sobri della recitazione, e i contenuti secchi, essenziali del racconto che rifuggono dall’enfasi retorica e dagli stereotipi correnti sulla mafia siciliana, sono gli ingredienti di una narrativa che finisce con l’avvincere come una tragedia greca.
Caruso rende il senso del delitto, del castigo e del pentimento trattando la materia con tocco lieve, modesto, talvolta perfino ironico, senza declamare dalla terrazza del Grand Hotel sull’abisso, né fare la predica antimafia a nessuno. Perché è da questa miscela di furie demoniache e di discrezione espositiva che nasce il pathos singolare di questa rappresentazione.
Calderone è un pentito vero, pentito nell’accezione letterale del termine, pentito cosciente delle atrocità commesse. Ed è questa coscienza, dormiente per anni e poi risvegliata, che lo carica di rimorsi, lo affligge e non gli dà pace. Lo racconta lui stesso, con la forza della sincerità, quando, ripensando ad un delitto commesso, ci chiede se vogliamo sapere cosa ha provato. «Niente!» risponde, «la mia anima non c’era! La coscienza non esisteva».
PICCOLO ELISEO PATRONI GRIFFI
dal 9 al 21 febbraio 2010
Pino Caruso
in
Mi chiamo
Antonino Calderone
di Dacia Maraini
da Gli uomini del disonore di Pino Arlacchi
regia Pino Caruso
produzione Teatro Biondo Stabile di Palermo,
Teatro Stabile di Catania