Successo all’Eliseo di Roma de “La Locandiera” con la regia di Pietro Carriglio.
di Lucio De Angelis
Galatea Ranzi è la protagonista de “La locandiera” di Carlo Goldoni, che va in scena fino al 28 marzo al Teatro Eliseo di Roma con la regia, le scene e i costumi di Pietro Cartiglio e con Luca Lazzareschi (il Cavaliere di Ripafratta), Nello Mascia (il Marchese di Forlipopoli), Sergio Basile (il Conte d’Albafiorita), Luciano Roman (Fabrizio) e Domenico Bravo, Eva Drammis, Aurora Falcone, Maurilio Giaffreda, Samuel Kwaku Gyamfi, Jennifer Schittino.
Le musiche dello spettacolo – prodotto dagli Stabili di Palermo e Catania – sono di Matteo D’Amico, le luci di Gigi Saccomandi.
Destinata ad essere la commedia più rappresentata di Goldoni oltre che uno dei suoi capolavori, l’opera vide per la prima volta le scene il 26 dicembre del 1752 al Teatro S. Angelo di Venezia. L’Autore aveva appena concluso la collaborazione con la Compagnia Medebac, avendo realizzato la Riforma nel 1750-51.
Quello che salta agli occhi alla prima lettura è l’evidente spettacolarità dell’intreccio e in questa messa in scena si è cercato di sfruttare a pieno la poesia e la struttura del testo, che contiene in sé tutte le spiegazioni e le situazioni possibili: Mirandolina si mette di picca nel far innamorare il burbero misogino Cavaliere di Ripafratta.
La sua è una simulazione onesta, a fin di bene. Goldoni denuncia così il comportamento femminile senza negarne il fascino. Un fascino che sta nella sua modernità e non nella sua civetteria. Mirandolina é una locandiera, una donna d’affari: la locanda é il suo mondo e vien vista come azienda.
Una commedia che nel suo perfetto meccanismo di allegria e crudeltà pone il problema dell’equilibrio fra scena e testo. Una ricerca, che evita le forzate stilizzazioni, prestando particolare attenzione alla vita, al gioco della seduzione, al rapporto fra attori, autore e pubblico.
In quest’opera marchesi, conti, cavalieri, servitori e due commedianti sono tutti di passaggio, appartenenti a regioni diverse del nostro Paese, con una lingua che mescolando accenti, inflessioni, colori, diversità, diventa per dirla assieme all’Autore come un manto d’Arlecchino.
Alla fine della commedia Mirandolina, con un abile stratagemma riappacifica i nobili, che si contendevano le sue grazie, si sposa con il cameriere Fabrizio, che l’aveva sempre amata e che mirava a lei anche per diventare il padrone della locanda, e si ripromette di non giocare più con il cuore degli uomini.
‘La locandiera’ è il vessillo del nuovo teatro di Goldoni, che soppianta gli schemi arrugginiti dell’obsoleta Commedia dell’Arte. Le maschere che gli attori portavano per interpretare personaggi fissi, vengono soppiantate dal volto stesso degli attori, che impersonano il ruolo di gente normale e reale.
Lo svolgimento della vicenda, prima affidato all’inventiva degli attori, viene sostituito dall’ordinata sequenza di eventi mirabilmente pianificata dall’Autore: Goldoni rappresenta storie realistiche, che si avvicinano il più possibile alla vita degli spettatori, in modo da farli immedesimare nei personaggi stessi e creare così un ponte tra finzione e realtà.
Mirandolina è molto più di una serva astuta e affascinante: è una donna a tutti gli effetti, che agisce seguendo le sue pulsioni e, cosciente del suo stato sociale, si preoccupa dei suoi interessi portando avanti i nuovi ideali della borghesia emergente. I nobili, invece, rappresentano i parassiti della società che non contribuiscono minimamente al suo sviluppo e pretendono privilegi e servigi, rendendosi così ridicoli ed irritanti agli occhi degli spettatori.
Questo realismo conferisce alla commedia un volto umano, ed è universalmente valido in ogni tempo, rappresentando sulla scena il mondo con le sue contraddizioni.
Insomma, tutti questi ingredienti, sapientemente dosati, fanno grande questo Autore e questa commedia, facendo apprezzare Goldoni per la sua estrema modernità di intellettuale europeo e riformatore del teatro.
Lo spettacolo di Carriglio si libera dagli stereotipi del goldonismo, focalizzando l’attenzione sullo straordinario meccanismo teatrale dell’opera, su alcuni aspetti tradizionalmente poco analizzati del testo, su un’inedita e sorprendente caratterizzazione del personaggio della Locandiera e sull’impianto figurativo, che richiama i dipinti del Tiepolo e di altri pittori.
La locandiera, considerata una delle più belle commedie del mondo, definizione che è ricaduta su Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, su La mandragola di Machiavelli e su La brocca rotta di Kleist, è tra quelle commedie che Carriglio definisce «meccanismi ad orologeria perfetti»..
Spiega il regista: «Vi è un sottile piacere del teatro, del fare teatro che coinvolge e che stupisce. La locandiera è un orologio, un orologio del gran ’700, scandisce il tempo che passa inesorabilmente, senza la possibilità di essere fermato dai virtuosismi o dal gioco sottile che muove gli ingranaggi: e amareggia profondamente».
- Teatro Eliseo
- fino al 28 Marzo 2010
- Galatea Ranzi, Luca Lazzareschi,
- Sergio Basile, Luciano Roman
- con la partecipazione di Nello Mascia
- in
- “La locandiera”
- di Carlo Goldoni
- regia, scene e costumi pietro carriglio
- musiche matteo d’amico
- luci gigi saccomandi
- teatro biondo stabile di palermo – teatro stabile di catania
- personaggi e interpreti (in ordine di entrata)
- Marchese di Forlimpopoli Nello Mascia
- Conte d’Albafiorita Sergio Basile
- Fabrizio Luciano Roman
- Cavaliere di Ripafratta Luca Lazzareschi
- Mirandolina Galatea Ranzi
- Servitore del Conte Maurilio Giaffreda / Domenico Bravo
- Altro servitore del Conte e musico Samuel Kwaku Gyamfi
- Domestica e cantante Jennifer Schittino
- Servitore del Cavaliere Domenico Bravo / Maurilio Giaffreda
- Ortensia Aurora Falcone
- Dejanira Eva Drammis
Destinata ad essere la commedia più rappresentata di Goldoni oltre che uno dei suoi capolavori, l’opera vide per la prima volta le scene il 26 dicembre del 1752 al Teatro S. Angelo di Venezia. L’Autore aveva appena concluso la collaborazione con la Compagnia Medebac, avendo realizzato la Riforma nel 1750-51.
Quello che salta agli occhi alla prima lettura è l’evidente spettacolarità dell’intreccio e in questa messa in scena si è cercato di sfruttare a pieno la poesia e la struttura del testo, che contiene in sé tutte le spiegazioni e le situazioni possibili:
Mirandolina si mette di picca nel far innamorare il burbero misogino Cavaliere di Ripafratta. La sua è una simulazione onesta, a fin di bene. Goldoni denuncia così il comportamento femminile senza negarne il fascino. Un fascino che sta nella sua modernità e non nella sua civetteria. Mirandolina é una locandiera, una donna d’affari: la locanda é il suo mondo e vien vista come azienda.
Una commedia che nel suo perfetto meccanismo di allegria e crudeltà pone il problema dell’equilibrio fra scena e testo. Una ricerca, che evita le forzate stilizzazioni, prestando particolare attenzione alla vita, al gioco della seduzione, al rapporto fra attori, autore e pubblico.
In quest’opera marchesi, conti, cavalieri, servitori e due commedianti sono tutti di passaggio, appartenenti a regioni diverse del nostro Paese, con una lingua che mescolando accenti, inflessioni, colori, diversità, diventa per dirla assieme all’Autore come un manto d’Arlecchino.
Alla fine della commedia Mirandolina, con un abile stratagemma riappacifica i nobili, che si contendevano le sue grazie, si sposa con il cameriere Fabrizio, che l’aveva sempre amata e che mirava a lei anche per diventare il padrone della locanda, e si ripromette di non giocare più con il cuore degli uomini.
‘La locandiera’ è il vessillo del nuovo teatro di Goldoni, che soppianta gli schemi arrugginiti dell’obsoleta Commedia dell’Arte. Le maschere che gli attori portavano per interpretare personaggi fissi, vengono soppiantate dal volto stesso degli attori, che impersonano il ruolo di gente normale e reale.
Lo svolgimento della vicenda, prima affidato all’inventiva degli attori, viene sostituito dall’ordinata sequenza di eventi mirabilmente pianificata dall’Autore: Goldoni rappresenta storie realistiche, che si avvicinano il più possibile alla vita degli spettatori, in modo da farli immedesimare nei personaggi stessi e creare così un ponte tra finzione e realtà.
Mirandolina è molto più di una serva astuta e affascinante: è una donna a tutti gli effetti, che agisce seguendo le sue pulsioni e, cosciente del suo stato sociale, si preoccupa dei suoi interessi portando avanti i nuovi ideali della borghesia emergente.
I nobili, invece, rappresentano i parassiti della società che non contribuiscono minimamente al suo sviluppo e pretendono privilegi e servigi, rendendosi così ridicoli ed irritanti agli occhi degli spettatori.
Questo realismo conferisce alla commedia un volto umano, ed è universalmente valido in ogni tempo, rappresentando sulla scena il mondo con le sue contraddizioni.
Insomma, tutti questi ingredienti, sapientemente dosati, fanno grande questo Autore e questa commedia, facendo apprezzare Goldoni per la sua estrema modernità di intellettuale europeo e riformatore del teatro.