RADICALI ROMA

“La mia magnifica ossessione” di Bernardo Bertolucci: piacere o idelogia?

E’ da sette anni che non esce un nuovo film di Bernardo Bertolucci. (L’ultimo è stato “The dreamers” del 2003). Chi, come me, ama il suo cinema, può consolarsi con un libro. Si intitola: “La mia magnifica ossessione”. E’ uscito in questi giorni, edito da Garzanti. L’autore è lo stesso Bernardo Bertolucci.
Il titolo, che cita un classico del cinema americano, per un cinefilo è una perifrasi quasi convenzionale che significa: il cinema.
Il sottotitolo è: “Scritti, ricordi, interventi (1962-2010)”.
Insomma: si tratta di una raccolta di testi sul cinema, già usciti su giornali o riviste specializzate, (oppure di trascrizioni di interventi orali), raccolti e riordinati a cura di due critici, Fabio Francione e Piero Spila.
Io sono andato subito a leggere il testo del 2010, con lo spirito con cui si cercano notizie di una persona che ci interessa e della quale abbiamo perso da qualche tempo le tracce.
Si tratta della prefazione che Bertolucci ha scritto per il volume, due paginette scarse, dalle quali apprendiamo che ha visto “Avatar” di James Cameron, a Trivandrum, una città dell’India meridionale, applaudendo insieme al pubblico popolare della sala cinematografica, “con passione e divertimento”, a ogni sconfitta dei cattivi: che, come osserva Bertolucci e come è del resto evidente, ricordano i soldati americani che invadono l’Iraq.
Ecco, uno dei temi che percorrono il volume, è la difesa del cinema americano, contro una “sinistra ottusa”, che lo ha spesso liquidato come un cinema di propaganda.
E a questo proposito, Bertolucci ricorda di aver scritto un articolo in difesa del “Cacciatore” di Michael Cimino, un film del 1978, sulla guerra in Vietnam, che aveva suscitato in una parte della sinistra una certa indignazione, e che Bertolucci aveva invece festeggiato come “un film spietato nel descrivere la spietatezza dei vietcong”.
Ora, da queste considerazioni può forse sembrare che la difesa del cinema americano – come l’esaltazione del cinema francese (che egli forse ama ancora di più) – sia basata su argomenti politici e contenutistici. Ma non è così. Perché uno dei leit-motiv del libro, è la difesa, anche, del “piacere del cinema”, contro una lettura del cinema tutta “ideologica”, che cioè assolve o condanna i film soltanto in base alla correttezza dei loro contenuti.
“La mia magnifica ossessione” contiene alcuni di testi di critica cinematografica, occasionali, perchè Bertolucci non ha mai esercitato il mestiere del critico cinematografico. E che riguardano film da lui particolarmente amati, in accordo con un consiglio ai critici di un grande cineasta francese, particolarmente ammirato da Bertolucci, Jean Renoir. Il quale affermava: “Non perdete tempo a dire male dei film che detestate, parlate invece dei film che amate e dividete con gli altri il vostro piacere”.
In queste pagine si parla di film di grandi autori, purtroppo oggi poco visti, poco conosciuti, anche perché la televisione non li ripropone quasi mai: come Godard, Ophüls, Anghelopoulos, Edgar Reitz e Michelangelo Antonioni. Fra queste pagine ce n’è una, particolarmente limpida, in cui viene raccontato il finale di “Luci della ribalta” di Charlie Chaplin; con uno sguardo attento alle interazione psicologiche tra i personaggi, ma che fa intuire immediatamente al lettore, caso mai avesse dimenticato quella celebre scena, come quell’aspetto interiore del racconto si traducesse in immagini.
Ma “La mia magnifica ossessione” è anche un libro di ritratti.
Fra gli altri spicca quello di Pier Paolo Pasolini. (Bertolucci fu il giovanissimo aiuto-regista per il suo primo film, “Accattone”). Un ritratto un po’ spiato, dal quale trapela il fascino e la curiosità che un artista già celebre come Pasolini poteva suscitare in un ragazzo, e che si compone anche di alcune annotazioni intime: come (andando in macchina insieme sul set) i “sospiri” di Pasolini intorno agli archi dei ponti, o degli acquedotti romani, che naturalmente alludono alle sue abitudini sessuali, ai teatri del suo eros. Oppure le lacrime di Pasolini, nel buio di una sala, durante la proiezione dell’ “Intendente Sansho” di Mizugochi, un classico del cinema giapponese.
Ma tra i personaggi ritratti nel libro, c’è anche il Dalai Lama, referente di Bertolucci quando gira il “Piccolo Buddha”, che fu anche una lettura personale del buddhismo tibetano. Già il titolo del film, poteva suonare irriverente: Buddha può forse essere piccolo?
Ma il Dalai Lama, con la sua saggezza un po’ ilare, dopo una riflessione, avalla quel titolo, anche perché, dice, “siamo tutti dei bambini e dentro di noi c’è un piccolo Buddha”. Così come approverà la scelta di un attore cinese per il ruolo di un lama tibetana (scelta che aveva invece un po’ scandalizzato Richard Gere).
Ho affastellato spunti disparati. Ma spero di aver suggerito che si tratta di un libro, per sua natura frammentario, ma ricco e interessante, che vi consentirà di ripercorrere tutti i film di Bertolucci in compagnia del suo autore. E di passare qualche giornata in dialogo con un grande autore cinematografico.

Versione audio:
http://www.radioradicale.it/scheda/305164