La reazione, al limite del disgusto, di una notevole parte della stampa e ( sembra ) dell’ opinione pubblica per il carattere ultra folcloristico della tre giorni di visita del colonnello Gheddafi, difficilmente può incontrare dissenso.
Ma se notevole è stato il prezzo d’ immagine pagato principalmente da noi è anche giusto chiedersi se esso non sia lo sbocco finale di una politica estera mediterranea che ha origine centenaria, potendo risalire all’ Italia liberale del primo novecento.
L’ esperienza mussoliniana, connotata da una, del tutto anacronistica e suicida , dilatazione imperiale, con la sconfitta bellica, pur costringendoci ad ambizioni più caserecce, non valse a far denegare del tutto la vocazione mediterranea del nostro paese. Come infatti riemerse da un celebre discorso di Amintore Fanfani : <<L’Italia è l’ultimo dei paesi europei nell’ oceano atlantico e quindi dobbiamo guardare al Mediterraneo concepito non più come “mare nostrum” ma come area di decisiva influenza >>“.
Si sarebbero potute evitare in questa ultima esperienza le arrendevolezze sui canoni di ospitalità ispirati a gratificazione della sete di magnificenza del capo di Stato libico.
Ma è forse giusto insinuare che la sostanza del trattato italo – libico ( in cui eravamo comunque fatale parte perdente per le accertate gravi e reiterate responsabilità storiche ) risulta assai onerosa per un motivo molto più serio e non siamo alieni dal sospetto che il carattere comico – folcloristico della sua celebrazione abbia avuto un suo astuto scopo strumentale, al di là dell’ offesa al buon gusto su cui ha prevalentemente insistito la nostra pubblicistica.
L’ elemento folcloristico ha giocato infatti da diversivo, oscurando la considerazione che la somma di denaro che, a vario titolo, sarà corrisposto complessivamente, ( venti miliardi in venti anni ? ) , dovrà essere a carico, per l’ intero, della fiscalità generale, cioè dalla massa dei contribuenti italiani.
Al contrario, i vantaggiosi flussi di denaro fresco che entreranno in Italia, a titolo di partecipazione azionaria di denaro libico, saranno appannaggio di alcune poche nostre infrastrutture chiamate a realizzare il complesso di investimenti in suolo libico, ben simboleggiati dall’ autostrada marittima fino al confine egiziano. Non scalfisce la fondatezza del rilievo la circostanza che alcune di queste tecnostrutture ( Eni, Enel ) saranno chiamate a subire aumenti di prelievo fiscale per accresciuta produzione e commercializzazione di gas e petrolio: la posizione monopolistica di fatto di cui godono comporta la conseguente libertà di fissazione e di aumento dei prezzi a carico degli utenti.
Per tacere poi della considerazione che le inerenti possibilità di lavoro del Trattato, saranno per gli italiani, limitate a pochi nuclei di lavoratori specializzati, mentre libica risulterà ovviamente la stragrande quantità di manodopera. In un quadro legislativo difficilmente controllabile e quindi suscettibile di vari criteri applicativi, secondo variegata convenienza .
Come risulta nella citata autostrada – di 1.700 Km. –il cui costo previsto – cinque miliardi – , per la sua ristrettezza, ha del miracoloso, comparata ai costi di un’ autostrada italiana della stessa lunghezza , otto volte tanto, o spagnola, tre volte tanto : varranno anche qui le revisioni prezzi tanto consuete nelle nostre patrie procedure di appalto ? E chi ne sosterrà il costo ?
Sarebbe risultato consolatorio almeno una eco di tali argomenti nelle aule parlamentari, prima dell’ approvazione di tale trattato, avvenuta con il concorso afono dei deputati dell’ opposizione , con eccezione di soli tre più consapevoli deputati e della rappresentanza radicale.
Pierluigi Sorti