«Ho paura di questa democrazia. Ho paura di questo regime democratico. Ho paura della
ferocia sorridente dei nuovi strumenti del potere. Ho paura della civiltà dell’immagine e del
consumo perché l’unico valore condiviso da tutti è il denaro. Il denaro giustifica tutto.
Ho paura di questa democrazia che sacrifica sull’altare del potere la propria umanità.
Ho paura di questo sistema dei consumi che pensa per te, sogna per te. Ho paura perché non
manca la libertà, mancano uomini liberi. Spesso è più duro lottare non contro la violenza dei
padroni ma contro l’accondiscendenza a essere servi. Io… di questo ho paura!».
(Elio Crifò)
La storia d’un uomo innamorato della Politica, che segue tutte le manifestazioni, i cortei e i congressi di tutti i
partiti e di tutti i movimenti! Li segue perché con la politica si diverte, e vuole far divertire anche chi l’ascolta. Ma
il divertimento non scaturisce da esilaranti imitazioni dei politici attuali, bensì dall’ironica e disperata
consapevolezza che nessuno sembra aver capito niente di Edward Snowden, di Assange e del suo WikiLeaks e
dello sversamento dei rifiuti nella Terra dei Fuochi. Dal divertimento si passa alla consapevolezza, dalla
consapevolezza alla tattica di sopravvivenza: un appello ai più importanti clan d’Italia, e soprattutto a Matteo
Messina Denaro, la star dei latitanti. I criminali vengono chiamati in causa perché in Italia, senza di loro, non si
può discutere, seriamente, di politica. A conclusione dell’appello, e anche dello spettacolo, giunge “il monologo
riconciliatore dello Stato”. Nove minuti di scuse per tutte le “ombre di Stato”.
Questo spettacolo è una proposta artistica concreta che dice: ragazzi, vale la pena schiodarsi da casa, prendere la
macchina faticosamente parcheggiata e buttarsi nella giungla di Roma. Arrivare in zona teatro e cercare un
parcheggio. Farsi 300 metri a piedi, pagare il biglietto e finalmente sedersi. Per poi rifare tutto al contrario.
L’artista deve inventarsi qualcosa che il pubblico non trova nella proposta televisiva, che gli smuova talmente le
viscere da fargli accettare il calvario per raggiungere i teatri a Roma.
Su questo testo ho sperimentato un nuovo modo di scrivere. Sono partito dal finale: un discorso presidenziale di
cristallina chiarezza, senza ombrose parole di Stato. L’estate scorsa l’ho inserito in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, una replica gratuita all’aperto in un castello. Anche se era una messinscena contemporanea, risultava comunque un intervento shock, per il linguaggio e i temi. I 700 spettatori presenti sono letteralmente esplosi. Non si riusciva a continuare e, di piazza in piazza, ho visto il pubblico esplodere all’ultimo mio urlo: «Noi vi chiediamo scusa!».
Dal finale ho scritto a ritroso tutto il testo. Una sorta di scrittura del salmone, che mi ha portato a creare uno
spettacolo diviso in due parti: il Secondo Tempo che è un appello alle più importanti famiglie criminali d’Italia e
sopratutto alla “star” Matteo Messina Denaro (l’unico italiano nella top ten dei più ricercati al mondo) e il Primo
Tempo che, tra una risata e un sorriso, gioca sulla contrapposizione tra immagine fumettistica del criminale
(confezionata dai mezzi di comunicazione) e la realtà del mondo delinquenziale, un mondo inserito
perfettamente nella nostra società, che dobbiamo imparare a riconoscere.
Ho scritto questo testo per creare un ponte di comunicazione con la classe dirigente: da questo spettacolo
potrebbe trarre spunti di riflessione, non certo per motivi etici, ma per una banale questione di sopravvivenza.
L’ho scritto anche per comunicare con la classe criminale di questo paese. I criminali stessi, ormai, si lamentano
del livello estorsivo e corruttivo degli amministratori pubblici. Come dice Matteo Messina Denaro: «I politici un
fannu mai nenti pi nenti».
L’ho scritto anche per la Grande Massoneria italiana, che ormai ha abdicato la completa gestione dello Stato alle
logge più ignoranti, volgari e fameliche che tengono in vita un Potere troglodita, con uomini primitivi al
comando, che attraverso titoli, cariche, nomine e sorrisi rivestono di civiltà la propria trivialità. Un potere che
impone su tutto la subcultura del supermercato e pretende di continuare a dirigere una nazione. Un potere che è
diventato talmente feroce nei confronti della stessa popolazione da non riuscire più a nascondere la propria
violenza.
Com’è naturale, educhiamo i nostri figli a difendersi dai furbi, dai criminali, dai cattivi, ma bisogna educarli anche
a difendersi da questo Stato. Bisogna insegnargli che non sempre possono fidarsi di un abito talare, o di una
toga, o di un divisa o di una faccia perbene, perché il mondo è più complicato, e nulla è quel che appare! E
spesso bisogna ricordarlo e insegnarlo anche ai genitori.
Elio Crifò