Articolo di Leone Barilli del 9 novembre 2022
L’8 novembre si sono svolte negli Stati Uniti le cosiddette elezioni di Mid-term per il rinnovo del Senato e del Congresso. Si sono rinnovate anche le cariche dei governatori e gli elettori sono stati chiamati a esprimersi su diversi referendum.
In cinque stati, Arkansas, North Dakota, South Dakota, Missouri e Maryland, come già avvenuto negli anni scorsi in altri stati, i referendum avevano come oggetto la legalizzazione del consumo di marijuana per le persone con più di 21 anni. Il SI alla legalizzazione del consumo di marijuana ha prevalso nello stato del Missouri e in quello del Maryland, gli Stati più popolosi dove si sono svolti questi referendum, mentre negli Stati dell’Arkansas, del Nord e del Sud Dakota hanno prevalso i voti contrari.
Seppur a livello di Stati la legalizzazione sconta una sconfitta per 3 a 2, se andiamo a vedere i numeri assoluti la legalizzazione vince con 2.714.969 voti a favore e 2.285.056 voti contrari.
Altro dato interessante è andare a confrontare i risultati delle elezioni del Senato, che indicano un voto politico di appartenenza e in generale sulla politica del governo, con i risultati dei referendum.
Ebbene è di tutta evidenza che l’elettorato Democratico è sostanzialmente compatto nel voto per la legalizzazione della Marijuana, mentre sul fronte Repubblicano si notano diverse spaccature. La più profonda, la ritroviamo nello Stato del South Dakota dove al Senato il candidato Repubblicano John Thune vince largamente con il 69,6% dei consensi mentre i contrari alla legalizzazione raggiungono soltanto il 52,9% degli elettori. Uno scarto di ben 17 punti percentuali.
Altro scarto importante, di circa 10 punti percentuali, in Arkansas dove il vincitore Repubblicano John Boozman ottiene il 65,8% dei consensi ma l’opposizione alla legalizzazione “soltanto” il 56,2% dei consensi.
In generale si conferma tra gli elettori americani un consenso maggioritario a favore della legalizzazione del consumo e della vendita di marijuana anche con il contributo di ampi strati dell’elettorato più conservatore.