RADICALI ROMA

Se insieme i radicali, i socialisti, i ds…

E se per un «nuovo inizio», per una «nuova Bolognina», servissero gli zapablairisti? L’interrogativo ha un senso, e si collega a molte cose che sono state dette e scritte – a mio avviso, in modo molto pertinente – in queste settimane.

 

Ha ragione Ilvo Diamanti, quando dice che anche i Ds hanno forse bisogno di rendere più chiaramente riconoscibile il profilo della loro iniziativa, anche in termini strategici. Ha ragione Paolo Macry, quando evoca l’opportunità di una «nuova Bolognina», di un ulteriore «scatto» adeguato ai tempi nuovi.
Ma ha pure le sue ragioni Piero Fassino, che – in particolare nell’ultimo semestre – ha fatto più di un tentativo davvero coraggioso: si pensi solo all’ultimo Congresso dei Ds, con – in sequenza – la netta affermazione sull’Iraq («i veri resistenti sono gli otto milioni di iracheni che sono andati a votare»), e poi con una linea segnata da profondi tratti riformatori in politica economica, e poi con l’impegno referendario, e poi (mi si perdoni l’autoreferenzialità radicale) anche con l’impegno volto ad accogliere la nostra proposta di «ospitalità» alla vigilia delle ultime elezioni regionali.
Il guaio è che, su ciascuno di quei temi, i Ds si sono sistematicamente trovati in malinconica solitudine (eccezion fatta per lo Sdi e per pochissimi altri): e hanno dovuto subire (neanche dieci giorni dopo il Congresso) il voto contrario dell’Unione perfino al rifinanziamento della missione in Iraq; posizioni in politica economica ancora tutte da chiarire (e non è difficile immaginare quanto sarà «facile» – con il rapporto deficit-Pil che sarà allora giunto ad un terrificante 6%… – il dibattito con il ministro Bertinotti sulla necessità di una finanziaria da lacrime e sangue); il disimpegno sui referendum (anzi, l’impegno attivo in senso contrario) di mezza Unione; e – a febbraio – il veto antiradicale di tanti inquilini dell’Unione prima delle regionali, nonostante l’impegno personale e diretto di Piero Fassino e Vannino Chiti…

E allora? E allora, forse, in termini di prospettiva, in un quinquennio – il prossimo – in cui molte cose saranno riscritte, proprio l’iniziativa «zapablairista» (oltre che «fortuniana», nel senso di Loris Fortuna: e quindi pienamente liberale, socialista, laica, radicale) di Sdi, Radicali italiani, Associazione Coscioni e Federazione dei giovani socialisti (e – speriamo presto – anche di tutto il Nuovo Psi) può rivelarsi centrale, anche dal punto di vista dei Ds.

Già tra il 1989 e il 1990, e in particolare proprio dalle colonne de l’Unità, Pannella e i radicali proposero ad Achille Occhetto e al Pci, allora impegnati nel dibattito sulla «cosa», di fare subito il salto verso un Partito Democratico «all’americana». Poi, le cose hanno preso il corso che conosciamo.

Quindici anni dopo, socialisti e radicali non immaginano improbabili fughe in avanti, magari proponendo ai Ds immediate avventure elettorali comuni. Epperò tentano di costruire un soggetto politico nuovo, che vuole dialogare con l’Unione (vorrà l’Unione dialogare con esso?), che abbia la barra del timone ben ferma sulle libertà civili, senza dimenticare la modernizzazione economico-sociale e la promozione globale della libertà e della democrazia. Fortuna, Blair e Zapatero, appunto.

Sono convinto che, se l’esperimento riuscirà (ed è il caso di evitare che la solita, italianissima «catena di comando» Innominato-don Rodrigo-don Abbondio-bravi torni a ripetere che questo matrimonio «non s’ha da fare»…), saranno proprio i Ds ad avere trovato un interlocutore naturale.
E, a quel punto, la prospettiva non solo di una «nuova Bolognina», ma di una «Epinay» italiana o (perché porre limiti alla provvidenza riformatrice?) di un New Labour italiano, sarà – credo – meglio distinguibile. E, forse, perfino a portata di mano.