RADICALI ROMA

Università: deve essere un punto di partenza

  Per parlare dell’Università e della sua riforma vorrei partire da una esperienza di carattere personale. Per diversi anni mi è capitato di svolgere corsi di vario livello in università degli Stati Uniti. Quale docente della Sapienza a Roma ho avuto così ripetute occasioni di mettere a confronto due realtà universitarie molto complesse e di grande tradizione quale quella americana e italiana.

A livello generale, mi ha colpito soprattutto una differenza. Che non sta, come sostengono taluni con giudizi un po’ affrettati, nel fatto che un sistema (americano) è sostanzialmente privato e l’altro (italiano) è pubblico. Sta, piuttosto, nelle diverse regole che governano il funzionamento dei due sistemi. A differenza dell’Italia, concorrenza e autonomia sono praticate ed esaltate negli Stati Uniti a tutti i livelli: tra le Università, nell’attirare gli studenti; tra i docenti, nelle carriere e nelle pubblicazioni scientifiche; tra gli studenti, nei percorsi formativi e nell’accesso alle borse di studio. E’ un sistema che spinge a distribuire le risorse finanziarie e umane disponibili in base a criteri meritocratici e competitivi, vincolandoli a meccanismi di valutazione rigorosi e oggettivi, garantiti da una forte indipendenza dei giudizi. I risultati e le performance di questo sistema sono da anni valutati come davvero eccellenti in base ai migliori standard internazionali.

Non è così purtroppo per l’Università italiana: come sostenuto in centinaia di convegni e da abbondanti dati e evidenze empiriche, essa versa in condizioni che non è esagerato definire drammatiche. Il rimedio, certo, non viene dall’adozione di modelli importati dall’esterno, come potrebbe essere quello americano, ad esempio. Ogni paese ha le sue tradizioni, le sue istituzioni e fa un po’ storia a sé. Ma, sicuramente, vi è qualcosa da imparare e mutuare dall’esperienza americana così come da altre esperienze europee che sono maturate in questo periodo. Vi è soprattutto la necessità di introdurre nella nostra Università più concorrenza, più merito e più autonomia, declinati in misure diverse e a livelli diversi (nei percorsi didattici, negli accessi, nelle carriere, nelle retribuzioni dei docenti, nella distribuzione delle risorse).
Se si riconosce la necessità di introdurre meccanismi correttivi di tale natura, si può leggere e giudicare il disegno di legge che modifica lo stato giuridico dei docenti universitari e che è stato approvato l’altro ieri in via definitiva dalla Camera dei deputati in mezzo a grandi proteste e manifestazioni di piazza con un occhio diverso e con maggiore serenità. Certamente il metodo seguito per arrivare alla sua approvazione è per lo meno discutibile visto che ha finito per coalizzare un po’ tutti contro questa riforma: da chi lo ha criticato perché teme che possa spazzare via l’Università pubblica in Italia a chi lo ha attaccato per motivi opposti, accusandolo di eccessive cautele e di favorire carriere per anzianità.

E’ in realtà necessario fare uno sforzo e guardare ai suoi contenuti con animo sgombro da ogni preconcetto ideologico e non perdendo di vista i grandi problemi e le sfide di cui prima si è parlato. Se si procede così, ci si accorge allora che accanto a numerose disposizioni sicuramente sbagliate e tali da richiedere modifiche radicali, ve ne sono altre che si muovono nella giusta direzione e che richiederebbero quindi atteggiamenti meno improntati a un totale rigetto e chiusura. Mi riferisco, ad esempio, ai contratti nazionali di idoneità, al reclutamento dei giovani ricercatori, alle convenzioni di ricerca.

Più che azzerare e tornare indietro si tratterebbe in questi casi di ripartire da alcune delle novità introdotte, per cercare un possibile terreno d’incontro, certo anche per innovare profondamente nella direzione prima auspicata di più concorrenza e più merito.

L’occasione potrebbe essere offerta innanzi tutto dalla messa a punto dei decreti attuativi della legge delega e dalla proposta di creare un’agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario, che era prevista in un primo tempo nel disegno di legge, è poi successivamente scomparsa e oggi è in attesa di ricomparire in un nuovo provvedimento legislativo. Al riguardo, va ricordato che meccanismi di valutazione dell’attività didattica e di ricerca, imperniati su una rigorosa indipendenza di giudizio, rappresentano in effetti il cuore di ogni possibile riforma che si voglia ispirare ai valori del merito e della competizione.