In esplicito dissenso con le posizioni del suo partito, il deputato della Margherita Roberto Giachetti ha avviato la raccolta di firme per una convocazione straordinaria della camera, il 28 dicembre prossimo con all’odg la definizione dei “modi e tempi per l’esame di un provvedimento di clemenza”. In poche ore ha raccolto 60 firme, ma le possibilità di varare un’amnistia appaiono quasi inesistenti a fronte del no della Margherita e dei DS. Il capogruppo della Quercia Violante infatti conferma che nel poco tempo rimanente, l’unica cosa che si può fare è un indulto.
Marco Pannella non è d’accordo. Chiede a Berlusconi e Prodi di incontrarsi e afferma che “se si vedono mezz’ora possono, in quella mezz’ora, convenire la prima grande iniziativa ufficiale bi-partisan”.
Pannella, cosa ti aspetti dopo il no delle principali forse del centro-sinistra?
“Sarebbe metodologicamente sbagliato dare una valutazione di bilancio adesso. Questa è una lotta che prosegue senza interruzione da parecchi mesi. Direi che sul piano della maturazione della consapevolezza, negli ultimi dieci giorni sono stati fatti grandi passi avanti”.
Alludi all’allargamento del fronte favorevole all’amnistia?
“Certamente penso ad alcune prese di posizione come quella del “Corriere della Sera” ma la cosa più importante è l’aver fatto passare la consapevolezza che la Repubblica attraversa una crisi gravissima sul terreno della giustizia. Dal 1980 l’Italia è stata richiamata da istituzioni internazionali 109 volte. Il richiamo del Consiglio d’Europa del 30 novembre scorso dice chiaramente che questa situazione ‘mette in pericolo lo stato di diritto’. Ma parlare di ‘pericolo’ quando i richiami si susseguono invano dal 1980, mi pare un eufemismo. Questo significa che la Repubblica italiana si trova in una condizione criminale e criminogena”.
Sono termini forti…
“Ma guarda che io lo dico in termini puramente tecnico-giuridici. Dopo cinque condanne si viene considerati delinquenti abituali. Dunque, se un paese viene richiamato 109 volte, vuol dire che ha un’identità criminale. E pertanto criminogena, perché così facendo ammazza il valore stesso della legge, che non regge se non corrisponde a un sentire comune. Ci sono nove milioni di processi in corso, di cui circa cinque milioni e mezzo sono cause penali. Senza contare circa mezzo milione di cause risolte grazie a quell’amnistia di classe che si chiama prescrizione”.
Pensi che la prescrizione sia davvero solo un’amnistia di classe?
“In realtà la prescrizione ha origini nobili. Sin dal diritto romano solo in tempi relativamente brevi. Peccato che in Italia si sia arrivati piano piano a prescrizioni che arrivano dopo 20 o 30 anni, mandando così a farsi sfottere ogni nobile motivo originario”.
Torniamo alla crisi che la Repubblica sta attraversando sul terreno della giustizia…
“E che la più grossa questione sociale che sia oggi in Italia. C’è una situazione che abbiamo già visto all’inizio delle nostre lotte sui diritti civili. Dalla sinistra quelle questioni, come il divorzio, l’aborto, la chiusura dei manicomi, venivano considerate interessanti, però piccolo-borghesi, certamente ‘sovrastrutturali’. Invece riguardavano il vissuto sociale di moltissime persone, in una società dove i ‘fuorilegge del matrimonio’ si contavano a milioni. In quegli stessi anni promuovemmo il referendum sull’aborto, ma tutti i movimenti sociali, a eccezione di Lotta Continua, si ritirarono. Anche ‘Il Manifesto’, che all’inizio aveva aderito si tirò indietro, mi sembra con un editoriale di Rossana Rossanda che insisteva invece sulla necessità di mettere sotto accusa il fucilatore Almirante. Noi rispondemmo che quello dell’aborto era invece un immenso problema sociale. Come fu la chiusura dei manicomi, che ottenemmo subito dopo. Tutto nell’arco di cinque anni. Ma l’equivalente di un girotondo non l’abbiamo mai avuto. L’industria delle iniziative di massa a gogo – milioni in piazza, tutti i sindaci in campo – non si è mai mobilitata. E non si mobilita ora, anche se quello della giustizia è il massimo problema istituzionale e sociale in questo paese”.
Ma se la questione riguarda davvero un numero così enorme di cittadini, perché secondo te non si fanno sentire?
“In parte perché si vergognano. Nelle città piccole e medie, avere un parente carcerato o imputato è una cosa di cui si continua ad avere terrore”.
Cosa rispondi a quegli esponenti dell’Unione secondo cui non c’è tempo per affrontare il problema, tanto più dopo gli scandali bancari di questi giorni?
“Che questa straordinaria e immensa questione sociale deve essere affrontata con un’azione altrettanto straordinaria. Non con un’amnistia qualsiasi, ma con il più grande provvedimento di amnistia-indulto nella storia della Repubblica. Un provvedimento che riduca di almeno il 30 per cento sia il carico dell’amministrazione della giustizia che l’affollamento delle carceri”.
Violante sostiene che non ci sono i tempi…
“A volte le cose maturano in 48 giorni più che in 48 anni”.