RADICALI ROMA

La rivolta dei sacerdoti sposati «Per la Chiesa meglio i pedofili»

«Circondati in piazza San Pietro. Poliziotti e Carabinieri ci hanno chiesto i documenti come ai sospettati di terrorismo. Ma noi avevamo chiesto le autorizzazioni a questura e prefettura». Ha una voce calma, Giuseppe Serrone, pacata, forse è lo stesso tono di quando era «don» e la domenica dopo il Vangelo esponeva la sua omelia ai fedeli di Chia, frazione di Viterbo. Da cinque anni don Giuseppe, 46 anni, è sposato, ha scelto di vivere con Albana, una ragazza albanese di 30. «Ma non ho abbandonato la tonaca», spiega. E da qui nascono tutti i suoi tormenti, la Chiesa non riconosce il ministero dei preti sposati, e don Giuseppe ha fondato l’associazione dei «Sacerdoti lavoratori e sposati», e organizzato una protesta che ha portato fin sotto le finestre del Papa .

Perché la marcia in Vaticano? Una provocazione?
«No. Mia moglie e d io siamo arrivati a questo al termine di un cammino di evoluzione, che ci ha portato a questo con mia moglie e con alcuni che ci seguono. Questa iniziativa coincideva con il viaggio dei Papa a Valencia, dove volevamo andare, ma non avevamo disponibilità economiche. Sapevamo di correre dei rischi, che scendere in piazza voleva dire essere attaccati. Non è stato un flop, come hanno detto: quella di Roma era una marcia simbolica».

Avete raccontato di minacce e di discriminazioni. Non avete mai pensato a cambiare casa?
«Ci siamo spostati da amici e parenti per qualche tempo. Ma il vero problema è trovare lavoro, non solo le aggressioni delle persone, come le pietre contro Albana come fosse una strega, ma la possibilità di lavorare. I continui ostacoli della Chiesa solo perché vogliamo vivere questa nostra situazione alla luce del sole».

Lei insegnava a scuola. Adesso come vi mantenete?
«Ci aiutano i miei genitori, da giugno dell’anno scorso lavoro pochissimo. Mi sono dimesso nel 2001, poi per diciotto mesi ho avuto l’assistenza dall’istituto di sostentamento del clero. Da allora non ho più lavorato. Proprio perché ho lasciato la Chiesa e soprattutto per questo mio modo di rendere pubblica la mia scelta. Avevo anche scritto dei libri e la libreria dove erano in vendita li ha ritirati dagli scaffali dopo che mi sono sposato: mi dissero che non potevano più tenerli».

In questi giorni un paese della zona di Lecco o è in subbuglio per la reintegrazione di un prete sospettato di pedofilia. La Chiesa cerca di recuperare situazioni anche così gravi…
«Loro vengono perdonati, noi no. A loro viene data una seconda chance. La comunità cristiana è pronta a perdonare ma con due pesi e due misure. Insomma sembra sia meglio essere prete sospettato di pedofilia che un sacerdote sposato. E soprattutto non si uscire allo scoperto».

Cosa vuol dire?
«Ci sono sacerdoti che hanno una relazione e vengono tollerati perché cercano di nasconderlo. Mi hanno sospeso dall’insegnamento e poi mi hanno detto ‘’Se non scrivi per un anno e se non fai propaganfa, allora ti facciamo lavorare’’. Non ho accettato. Sto lottando per degli ideali. Non faccio niente di male. Mi hanno accusato di avere sul mio sito Internet dei contenuti contro il Papa, ma sono le persone che scrivono i loro pensieri come in molti blog: noi siamo fornitori di informazioni».

Insomma se vivesse nell’anonimato tutto si risolverebbe?
«Certo il problema è che dico quello che sono. Sono un personaggio scomodo. Qui a Viterbo c’è un prete sposato e divorziato che adesso insegna religione. Noi invece combattiamo per il riconoscimento del ministero dei sacerdoti sposati, alcuni vescovi ci hanno scritto, quello di Concordia a Pordenone e quello di Ischia. Adesso siamo in contatto con il consiglio delle Conferenze espiscopali europee, Ccee, di cui fa parte anche il vescovo O’connors, che è favorevole ai preti sposati. Stiamo sviluppando una forma di collaborazione, mi hanno contattato per un convegno sulle vocazioni».