RADICALI ROMA

L'inversione che non c'è

Prima della Legge finanziaria il disavanzo delle amministrazioni pubbliche per il prossimo anno (il cosiddetto disavanzo «tendenziale») era stimato intorno al 3,6 per cento del prodotto interno lordo (Pil), superiore di poco più di mezzo punto al limite di Maastricht. La Legge finanziaria lo porta al 2,8 per cento, una riduzione significativa, ma certo non «straordinaria»: nel 1992, un esempio spesso citato in questi mesi, la Finanziaria del governo Amato ridusse il disavanzo di oltre 4 punti di Pil. Per ottenere una riduzione «netta» di 0,8 punti (da 3,6 a 2,8) sarebbero stati sufficienti interventi (e cioè tagli di spese e aumenti di entrate) per circa 15 miliardi di euro. La Finanziaria invece ne prevede 33,4. Come vengono usati gli altri 18,4 miliardi? Circa 5,5 per finanziare la riduzione del cuneo fiscale e 13 per finanziare nuove spese. Tra questi, un po’ più di 3 miliardi sono destinati agli aumenti contrattuali dei dipendenti pubblici. In complesso l’aumento delle spese ammonta a poco meno dell’un per cento del Pil. Nella legislatura passata la spesa pubblica al netto degli interessi era cresciuta di 2 punti in percentuale del Pil e le retribuzioni dei dipendenti pubblici erano cresciute, anno dopo anno, più di quelle dei dipendenti di imprese private. Se ci si attendeva un’inversione di tendenza nella spesa, e soprattutto nei comparti meno produttivi, in questa prima Finanziaria del governo Prodi non ve ne è segno.

 

 

 

Come si distribuiscono i 33,4 miliardi del totale degli interventi previsti nella Finanziaria tra nuove imposte e tagli di spesa? Qui il conto è più complicato e rimando i lettori alle tabelle e agli articoli pubblicati sul sito lavoce.info. In sostanza i tagli di spesa nell’amministrazione centrale dello Stato sono 5 miliardi. A questi vanno aggiunti i risparmi che potrebbero essere effettuati da Comuni e Regioni — soprattutto nella sanità — a fronte del taglio nei trasferimenti che questi enti riceveranno dallo Stato (7,7 miliardi). Risparmi ipotetici, in quanto Comuni e Regioni hanno la possibilità di evitare i tagli aumentando le imposte locali e molti lo faranno. Se si assume che solo la metà di quei 7,7 miliardi di minori trasferimenti si traduca in effettive riduzioni di spese, nel 2007 le pubbliche amministrazioni preleveranno dai cittadini, attraverso imposte a altre misure, 24,6 miliardi in più rispetto al 2006. Di questi, 5,5 verranno usati per ridurre il cuneo, 6,2 per abbassare il disavanzo e poco meno di 13 (come abbiamo già visto) per finanziare maggiori spese, a cominciare dal rinnovo dei contratti pubblici.

 

 

 

Tra le nuove entrate la Finanziaria iscrive 5 miliardi che deriverebbero dal trasferimento all’Inps di una quota del Tfr. Mi stupisce che il Consiglio dei ministri abbia firmato questo provvedimento che può apparire come un trucco contabile: si chiama entrata l’accensione di un debito verso i lavoratori dipendenti. Per non dire dell’effetto esiziale sui fondi pensione e sulla possibilità che il governo ha tanto evocato — anche in occasione della vicenda Telecom — di creare in Italia nuovi investitori istituzionali. E le riforme? «E’ necessaria una forte correzione di bilancio compiuta soprattutto dal lato della spesa, riformando i quattro grandi comparti dai quali essa scaturisce: funzioni dello Stato centrale, rapporti tra questo e i governi locali, previdenza, sanità. Un’operazione ardua, non intrapresa da anni o decenni» (Tommaso Padoa- Schioppa, 21 agosto 2006). Non mi pare che questa prima Finanziaria vada nella direzione auspicata.