«Ci sono anche settori dell’impiego pubblico dove si lavora sodo, si lavora per due, anche per chi non lo fa. Ma ci sono anche sacche di non lavoro. Bisogna superarle per evitare generalizzazioni per tutelare chi lavora e distinguerlo dai nullafacenti». E’ questa l’opinione del prof. Pietro Ichino, giuslavorista, docente universitario, autore di un recente libro sui «nullafacenti», che ha risposto in videochat alle domande dei lettori di Corriere.it. «C’è il nullafacente che è tale perché non lo si pone in condizione di fare – ha spiegato Ichino -. Ma c’è anche il nullafacente volontario, che ostenta il proprio rifiuto e il proprio assenteismo sostenendo di sapere di non poter essere licenziato. Questo è un insulto agli impiegati pubblici seri, quelli che lavorano».
PREMIARE IL MERITO – Ichino, nel confronto con i lettori, ha ribadito la necessità di premiare il merito, anche per evitare l’umiliazione del lavoratore serio che a fine mese si vede retribuito come il suo collega assenteista o improduttivo. Per il giuslavorista è necessaria una riorganizzazione che parta dalla dirigenza, dove stanno le maggiori responsabilità dell’inefficienza del pubblico impiego, arrivando anche al licenziamento, teoricamente già possibile, di quei dirigenti che non riescono a rendere funzionali i servizi loro affidati. «Se io fossi al governo – ha poi detto Ichino – direi ai sindacati che dei soldi stanziati per i rinnovi contrattuali almeno un 25% vada solo a quei lavoratori che si impegnano di più. E non darei alcun aumento a quei lavoratori il cui rendimento è al di sotto di un livello minimo di efficienza».
«EGUALITARISMO IMPERANTE» – A chi gli chiedeva come si sentisse nel ruolo di «nemico dei sindacati» cucitogli addosso dalla stampa, Ichino ha fatto notare che dopo gli ultimi articoli sul Corriere sul tema dell’improduttività del pubblico impiego sono state più le attestazioni di stima che le critiche. E molte sono arrivate proprio da lavoratori del settore pubblico. «Credo che il sindacato abbia perso il contatto con quella parte dei dipendenti pubblici che è esasperata per colpa dell’egualitarismo imperante – ha spiegato Ichino -. Negli anni 70 per questo egualitarismo spinto ci fu la marcia dei 40 mila, dei quadri intermedi. Oggi nel pubblico impiego i lavoratori sono ancora più schiacciati da qeusto egualitarismo eccessivo che non premia il merito».
I PRECARI DEL PUBBLICO – A proposito del precariato nel settore pubblico, Ichino ha ricordato come ciò sia l’effetto di un trentennio di assunzioni spropositate che vengono oggi fatte ricadere sui giovani, che pure sarebbero disposti a lavorare sodo, con gravi ripercussioni sull’efficienza della stessa amministrazione pubblica. E questo a causa «eccessive rigidità» nella tutela dei lavoratori di ruolo, che sono di fatto «inamovibili» e che «intasano tutte le posizioni». In questo contesto si è affrontato anche il tema della mobilità interna al settore pubblico, vincolata oggi dalla necessità di un consenso allo spostamento da parte del lavoratore interessato. «Il trasferimento deve invece essere possibile anche senza l’approvazione dei diretti interessati – ha puntualizzato Ichino -. Soprattutto quando si tratta di coloro che un organismo di valutazione indipendente riconosca come poco produttivi».
PUBBLICO E PRIVATO – Il problema dell’efficienza c’è anche al di fuori del settore pubblico, ha riconosciuto il giuslavorista rispondendo ad un lettore che facendo una sorta di outing ha rivelato di essere un lavotore del comparto privato che tuttavia passa il tempo davanti al pc senza nulla da fare. Ma la differenza – ha evidenziato Ichino – è che «se il management non pone rimedi, l’azienda fallisce. Invece nel settore pubblico non è così. Nessuno paga pegno per le situazioni di improduttività. Occorre invece il coraggio di fare come all’estero operando con trasferimenti e chiusura dei cosiddetti “rami secchi”».