Se gli chiedessero di dire una cosa di sinistra, come chiese una volta Nanni Moretti a D’Alema nel film Aprile, Pier Luigi Bersani risponderebbe: «Liberalizziamo».
Immagino i commenti che faranno dalle parti di Rifondazione. Liberalizzare è di sinistra?
«Intanto è un fatto che il decreto di luglio sia stato accolto bene dall’opinione pubblica. E questo ha rafforzato, nella maggioranza, che l’idea di liberalizzare sia una cosa di sinistra. 0, se preferisce, di centrosinistra».
Con tutte le polemiche che ci sono state nell’Ulivo…
«Vorrei che a un certo punto, magari dopo la presentazione della regge sulle professioni, ci fosse un confronto, un appuntamento anche un po’ solenne di tutta la maggioranza parlamentare per dire che intanto il cantiere produce, che si lavora tutti assieme perché queste riforme arrivino in porto il più rapidamente possibile».
Ma perché liberalizzare è di sinistra?
«Perché in Italia la destra è corporativa per ragioni storiche. E’ un fatto di cui non ha colpa nessuno, ma è comunque un fatto storico. Fino dall’epoca risorgimentale la destra italiana è sempre stata statalista come impostazione e molto connotata dalle spinte corporative. Se andiamo all’inizio del ‘900, le cooperative e i sindacati, bianchi o rossi che fossero, non avevano affatto questa caratteristica. Poi arrivò, è vero, l’esperienza sovietica, il muro di Berlino, ma era una cosa d’importazione. Alle radici, invece, la spinta della sinistra era quella di organizzare solidarmente le forze ma dentro un mercato. Come si dice dalle mie parti: a bevuta pari».
Pari a che cosa?
«E’ un detto dei braccianti. Quando il padrone distribuiva il vino c’era una fiaschetta, con un meccanismo interessantissimo con il quale si garantiva che il sorso di un bracciante non fosse diverso dal sorso dell’altro. Il mercato è una bevuta pari».
E le liberalizzazioni garantiscono che i sorsi siano tutti uguali.
«Appunto. Credo, voglio sperare, che sarà una politica che ci accompagnerà in modo ordinario per tutta la legislatura, perché questi non sono cantieri che si aprono e si chiudono in un colpo solo. Piuttosto, ora in Parlamento c’è molta carne al fuoco e ammetto di essere preoccupato».
Non è l’unico. Lo è anche Emma Bonino che non perde l’occasione per chiedere una corsia preferenziale per i provvedimenti sull’energia. Si teme l’azione delle lobby?
«Mentirei se dicessi il contrario. Bisognerebbe che si facesse più di quanto si sta facendo su alcuni temi che sono già all’attenzione del Parlamento. Per esempio la class action, o le norme già in discussione sull’energia sui servizi pubblici locali e quelle che si discuteranno in futuro sulla pubblicità televisiva. Mi preoccupa il fatto che stia passando l’idea che ci sia ancora tutto da fare, mentre invece dovremmo pensare intanto a portare a casa le cose già avviate».
Le imboscate parlamentari sono sempre possibili.
«Se non c’è una tenuta del centrosinistra su questi temi ci si può anche rilassare».
Il suo è un appello al senso di responsabilità della sinistra più radicale, che di liberalizzazioni non vuole sentir parlare?
«Non nego di aver avuto talvolta dei problemi con la sinistra radicale, ma molte volte siamo riusciti a fare gli accordi. Certamente quando arriverà in Parlamento il provvedimento sulle professioni, il cui Ddl è stato approvato in Consiglio dei ministri venerdì scorso, i problemi non arriveranno da loro».
Com’è successo per i taxi e le farmacie: arrivano da chi meno te l’aspetti. A proposito, i farmaci da banco adesso costano di meno, ma il mercato delle licenze non è ancora liberalizzato. Che cosa si aspetta?
«La farmacia è come il taxi. Da quando 30 anni fa si è accettata l’idea che una prerogativa di tipo pubblico fosse alienabile a pagamento, si è creata la situazione per cui un farmacista ha speso 3 miliardi di lire per la farmacia e il tassinaro 200 mila euro per la licenza. Vede, i liberalizzatori devono fare i conti con questo piccolissimo problema».
Capisco. E come lo risolviamo?
«Per esempio con il sistema che abbiamo cominciato a introdurre per i taxi: i comuni possono fare bandi onerosi per le nuove licenze, e il ricavato viene distribuito pro quota ai tassisti in servizio. Credo che anche nel caso dei farmacisti si debba considerare che effettivamente un certo svilimento di valore di chi ha speso miliardi ci sarebbe».
Si fa presto a dire: i bandi. Poi i Comuni non li fanno, come le Regioni non hanno attuato fino in fondo la riforma del commercio.
«C’è del vero. Ma c’è pure qualche leggenda metropolitana. Dopo la riforma del commercio le grandi superfici sono aumentate di oltre il 50%. In molte regioni, se non siamo al livello della Francia, a quello della Gran Bretagna sì. Un recente studio dell’Antitrust ha dimostrato come nelle regioni dove la riforma è stata meglio attuata gli effetti sull’inflazione si sono visti. Lasciatemi pure dire che in ogni caso il piccolo commercio, per esempio, è liberalizzato, non ci sono più le licenze né le tabelle merceologiche».
Un caso, uno solo, di una Regione che rema contro.
«La giunta della Lombardia ha fatto una delibera per cui chi ha una parafarmacia, se vende anche altre merci, deve avere pareti divisorie, registratori di cassa separati. Cioè un farmacista può vendere giocattoli e farmaci senza problemi, una parafarmacia deve alzare il muro divisorio. L’Antitrust ora sta facendo un’indagine».
Sulle pareti?
«Mica solo su quelle. Ne sta facendo un’altra perché nella fase d’avvio della riforma i grossisti, in parte controllati dalle farmacie, non rifornivano le parafarmacie. Adesso però le parafarmacie, che sono già 360, di cui solo il 20% nei grandi magazzini, si sono organizzate in associazione».
Un’altra corporazione?
«Non mi pare ci sia questo pericolo. L’associazione gli serve per trovare i grossisti».
In 360.
«Per ora. Se vuole la mia previsione, nei prossimi 2 o 3 anni avremmo 3-4mila di questi negozi, di cui solo 500 saranno nella grande distribuzione, perché lì c’è bisogno di 3 farmacisti per fare i turni e quindi il gioco vale la candela solo nel caso di grandi superfici».
Come quelle delle coop. C’è chi continua a dire che la liberalizzazione dei farmaci da banco è stata fatta apposta per loro.
«Ah, sì? E come mai anche Auchan e Carrefour ne hanno subito approfittato? Anzi, il primo è stato un imprenditore di Vicenza, che peraltro ha dichiarato di votare per Forza Italia e adesso sta addirittura puntando sul franchising».
Passiamo agli ordini professionali. Com’è stata accolta l’abolizione delle tariffe minime?
«Male, soprattutto dagli avvocati. Ci sono state recentemente delle circolari nelle quali si affermava che il decreto Bersani si poteva anche non applicare. Ora ci sta pensando l’Antitrust».
Anche agli avvocati?
«Siccome si potevano già prevedere queste reazioni, nel decreto di luglio abbiamo affidato all’Antitrust poteri di intervento in via cautelativa, così chi fa una circolare per aggirare la liberalizzazi
one….»
Non ci saranno mica soltanto le circolari.
«Vero. Per esempio, la cassa forense è un ente previdenziale, un’istituzione che per sua natura dovrebbe essere asettica. Invece nel suo sito si trovano istruzioni per l’uso contrario della riforma, bombardamenti politici di tutti i tipi. E se le dicessi le pressioni che abbiamo avuto dalle assicurazioni…».
Forti?
«Fortissime, per farci rimandare l’avvio della riforma che le riguarda. Ragioni tecniche, ci hanno detto. D’accordo, le ragioni si affrontano ma senza rinvii. Ma io tengo duro e quindi sia l’agente plurimandatario che il rimborso tramite la propria assicurazione partirà da gennaio».
Costi quel che costi?
«L’ho detto anche agli assicuratori: abbiamo la re auto più cara d’Europa e la più elevata fedeltà all’assicuratore. In Inghilterra un consumatore è mediamente fedele per due anni e mezzo, in Germania per 4, in Italia per 12. Finora abbiamo provato senza ottenere nulla. Se nemmeno questa volta dovesse funzionare, insisteremo ancora. Perché così non si può andare avanti. E aspetto sempre che qualcuno approfitti della liberalizzazione che ho fatto nel 2001 e che ho apprezzato di più: quella del trasporto ferroviario».
Qual è il prossimo iter del Ddl sulle professioni approvato tre giorni fa?
«Ora dobbiamo tenere ferme in Parlamento queste norme perché aprono lo spazio per una vera riforma, e se non verranno indebolite nella discussione parlamentare, consentiranno così dei decreti delegati incisivi».