Vengo, più o meno, dalla stessa scuola di Piero Fassino, quella dell’articolo sette e della pace religiosa degli italiani che non va turbata perché altrimenti sono guai seri per tutti, credenti e non credenti. E quindi capisco, o almeno mi sforzo di capire, il segretario della Quercia. Persino quando, in un piovoso pomeriggio domenicale, se ne va in tv da Lucia Annunziata a spiegare come e perché, se l’Osservatore Romano scrive che la priorità del governo di centrosinistra è «sradicare la famiglia», non è poi il caso di prender cappello e parlare di «ingerenza». E pure quando giura che non dispera affatto di trovare di qui a gennaio, sulle unioni di fatto, un’intesa con la Binetti, e anche con una parte del centrodestra.
Ti capisco, Piero. O almeno mi sforzo di capirti. Ma non fino al punto di non sentire il dovere di chiederti come andrebbe definito altrimenti, l’attacco dell’Osservatore. E se davvero ci credi, all’idea che, con le vacanze natalizie e l’anno nuovo, teodem e compagnia cantante, quegli stessi che hanno minacciato l’altro giorno di far venir giù il governo sulle successioni, cambieranno idea, e si adegueranno, operosi e felici, a varare una legge che addirittura «non consideri dirimente, al fine di definire natura e qualità dell’unione di fatto, né il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale». Con tutto il rispetto per i maggior nostri, e pure per Eugenio Scalfari, che su Repubblica ci esorta a essere fiduciosi, io, caro Piero, non ci credo, e onestamente non credo di essere il solo.
Mi sbaglio, e si sbagliano tutti quelli che la pensano come me? Fosse vero, sarei il primo a prenderne atto e a esserne felice. Il fatto è però che dovresti essere tu, caro Piero, a spiegarci perché abbiamo torto a essere pessimisti. Fin qui, ogni volta che gli altri hanno puntato i piedi, e lo hanno fatto un giorno sì e l’altro pure, prudentemente i laici dell’Unione e dell’Ulivo (non sembra, forse, ma ci sono anche loro) ne hanno preso atto, rinculando in attesa di tempi migliori, per non mettere in pericolo l’unità del centrosinistra e dello stesso governo. Stavolta, se ho capito bene, a puntare i piedi, seppur previo rinculo sulla successione dei conviventi in finanziaria, dovremmo essere noi, i laici: senza iattanza, senza arroganza, senza esasperati laicismi, ci mancherebbe, e però con serena determinazione. Bene, benissimo, siamo pronti. E però consentirai, caro Piero, che, visti i precedenti, siamo noi, e con noi «tutti quelli che hanno scelto la convivenza secondo criteri di buon senso», che dovremmo essere per primi rassicurati sulle buone intenzioni dell’Unione e dell’Ulivo. Noi. Non il Vaticano, non la Cei, non i teodem, non i crociati della «famiglia tradizionale» e neppure Pier Ferdinando Casini che, proprio mentre rimarca la sua autonomia da Silvio Berlusconi, chiama alla lotta frontale contro le unioni di fatto manifestando tutto il suo orrore per la deriva zapaterista che, auspice Romano Prodi, minaccerebbe i cattolici e, con loro, la società italiana.
A proposito di deriva zapaterista: a me, e credo a molti altri come me, non dispiacerebbe affatto, caro Piero, che qualcuno, magari proprio tu, trovasse la forza e la serenità, queste sì zapateriste, di sostenere apertamente, e anzi di assumere come fondamentale punto di principio, che qui non si tratta di sottrarre dei diritti a qualcuno, ma di darne a chi non ne ha o non ne ha abbastanza; e che questo ha moltissimo da spartire con una moderna politica di sinistra, con un moderno riformismo, e pure con la natura di quel Partito democratico per il quale tu con tanto impegno continui a batterti. Che Partito democratico sarebbe mai quello che non avesse iscritto nel suo codice genetico, assieme alla laicità, l’impegno a estendere i diritti e ad allargare la democrazia? Su questo punto cruciale, temo, le divisioni sono profonde. Più profonde e radicali ancora che sull’adesione o meno al socialismo europeo. E verranno tutte alla luce.