Casi come quello di Piergiorgio Welby «saranno sempre più frequenti» e «la Chiesa dovrà darvi più attenta considerazione anche pastorale». A sostenerlo, in un intervento pubblicato ieri dal supplemento dome-nicale del Sole 24 Ore, non è Marco Pannella ma il cardinale Carlo Maria Martini, vescovo emerito di Milano. Alla vigilia dei suoi ottant’anni, Martini (cardinale da 27) prende spunto dalle sue personali esperienze di medici e infermieri — le stesse di chiunque si trovi ad affrontare gli inconvenienti della terza età — per riflettere sui temi della salute, della malattia e delle questioni ad esse legate. Meditando su temi simili, l’aggancio alla cronaca recente è quasi naturale, e il riferimento va subito al caso Welby e all’eutanasia.
«La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili — scrive Martini —. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona». In questo contesto, avverte il cardinale, è di vitale importanza distinguere tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico. Il tema è delicato e Martini trova i suoi punti di riferimento nei testi canonici, citando il Catechismo della Chiesa Cattolica secondo cui l’eutanasia è il gesto di chi intende causare «positivamente» la morte; evitando l’accanimento, invece, «non si vuole… procurare la morte: si accetta di non poterla impedire».
Questioni da dirimere non solo dal punta di vista dottrinale e morale ma anche da quello giuridico: nel suo intervento, il cardinale indica, tra l’altro, l’esigenza «dal punto di vista giuridico di elaborare una normativa» che tuteli paziente e medico, tuttavia—chiarisce — «senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell’eutanasia». Qui il pensiero di Martini varca i confini nazionali: «Mi dicono — scrive — che ad esempio la recente legge francese in questa materia sembri aver trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di realizzare un sufficiente consenso in una società pluralista». Il riferimento è alla legge sui diritti del malato e la fine della vita approvata in Francia nel 2005 che, tra le altre cose, conferisce validità al testamento biologico senza però di fatto legalizzare l’eutanasia.
Martini affronta a anche il tema della medicina palliativa, definita di grande importanza, e riconosce la necessità di tenere conto della volontà del malato nel valutare se le cure che gli vengono proposte siano effettivamente «proporzionate» alla sua condizione. Dunque entra nel dibattito aperto da Welby, ma mette in guardia dalle strumentalizzazioni di quelle parti politiche che hanno usato il caso per «esercitare una pressione in vista di una legge a favore dell’eutanasia».
Non sono mancate le reazioni all’intervento del cardinale. Secondo il ministro Pierluigi Bersani le parole di Martini «possono contribuire a trovare su questi temi la strada che cerchiamo». Nell’intervento di Martini si riconoscono anche Castagnetti (Margherita) e Salvi (Ds) e altri esponenti della maggioranza. «La posizione del cardinal Martini rischia di essere di gran lunga più avanzata di quella di una certa politica che ha posto un netto veto alla discussione» ha detto Angelo Bonelli, capogruppo alla Camera dei Verdi. Secondo Paola Binetti (Margherita), invece, Martini non parla di eutanasia o di testamento biologico, chiede solo «una buona sanità».