Il settore dei servizi locali “di rilevanza economica” (articolo 113 del Tuel, Testo unico degli enti locali, attualmente vigente) e dei servizi privi di tale caratteristica (1) mostra tre principali punti deboli: a) un pervicace sottodimensionamento dei gestori; b) una vigorosa tendenza a moltiplicare le società pubbliche (patrimoniali, di gestione delle reti, di erogazione dei servizi, di vendita, di acquisto, in-house, miste di minoranza, miste di maggioranza, consortili, “federali”) non tanto come strumento di transizione verso le liberalizzazioni, ma come precisa opportunità di arroccamento da parte delle amministrazioni locali; c) una perdurante difficoltà a realizzare concretamente il principio europeo della neutralità tra proprietà pubbliche e proprietà privata delle imprese affidatarie dei servizi. Sebbene i tre aspetti in parte si sovrappongano, è possibile individuare qualche specifico rimedio che, forse, potrebbe essere esplicitamente anticipato nella legge delega e che, probabilmente, dovrebbe essere inserito anche in articoli del Tuel diversi dal 113.
Come dovrebbe intervenire la legge
Nel caso dell’acqua è prevista (articolo 2, comma 1, lettera a del 772) la gestione pubblica sia delle risorse, ragionevolmente, sia dei servizi, molto meno comprensibilmente. A parte che si torna indietro rispetto alla “legge Galli”, che prevede anche la gara con procedure a evidenza pubblica per il conferimento della titolarità del servizio, si faccia in modo di incoraggiare, se non di imporre, l’unitarietà della gestione del ciclo integrato per ogni ambito territoriale ottimale. Si proibisca quindi la formazione di sub-ambiti e la prosecuzione delle gestioni, di solito piccole e frammentate, salvaguardate dalla legislazione di settore di alcune Regioni. Se, come auspicabile, venisse introdotto l’obbligo di gara o se, quanto meno, ne rimanesse la facoltà, si veda di scoraggiare la formazione di Ati, leAssociazioni temporanee di imprese (artificiali e transitori accordi) tra piccoli operatori locali.
La costituzione di società alle quali conferire in-house i compiti più disparati è stata favorita anche da diverse versioni del Patto di stabilità interno degli ultimi anni. Il proliferare dell’in-house non solo limita le potenzialità offerte dai mercati concorrenziali, ma rischia di nuocere alla trasparenza della pubblica amministrazione e alla stabilità della finanza locale. La delega proibisce, sulla scia del decreto 223 del luglio scorso, l’attività extra moenia delle società in-house e prevede che l’affidamento a società a capitale interamente pubblico sia consentito soltanto in casi eccezionali, da motivare caso per caso (articolo 2, comma 1, punti b e d). Non sarà però agevole formulare un elenco di fattispecie ammesse alla deroga o predisporre una norma generale che non sia facilmente aggirabile. Sarà quindi opportuno introdurre disincentivi alla costituzione di società. Al tema si dovrà quindi porre attenzione nella stesura del Patto di stabilità interno, ponendo vincoli al totale del debito di comuni e rispettive società. Tetti di questo tipo sono già applicati in altri paesi europei. Non sarà inoltre inutile riflettere sull’opportunità di introdurre la contabilità consolidata fra comune e società da esso partecipate. È benvenuto tutto ciò che ostacola la pratica dei ripiani ex post e degli aiuti di Stato.
Per un ente locale è difficile rivestire contemporaneamente il ruolo di proprietario e di cliente. Se un comune mette a gara un servizio, difficilmente può resistere alla tentazione di favorire la propria società produttrice di quel servizio. La delega vuole rafforzare “i poteri di vigilanza delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità competenti per settore, al fine di garantire la promozione e la tutela della concorrenza”. In attesa del rilancio di tali Autorità, e forse anche in seguito, sarebbe utile prevedere che nel caso di coincidenza dei due ruoli di proprietario e di affidante, la responsabilità della gara sia trasferita al livello di governo superiore: dal Comune alla Provincia e alla Regione o, a regime, alle Autorità.
Il tema di fondo che affronta il disegno di legge 772 è quello, certo non nuovo, della distinzione dei poteri, e dei doveri, di offerta dei servizi dai compiti di gestione. In termini economici, si tratta di un normale rapporto di agenzia da sviluppare su una pratica informativa non troppo asimmetrica. In un’ottica di questo tipo, le indagini sui bisogni e le analisi di customer satisfaction sembrerebbero rientrare tra i compiti più gelosamente presidiati dagli enti appaltanti o affidanti. Curiosamente, invece, nella delega (articolo 3, comma 1, punto b) si affida il permanere dell’affidamento anche a “indagini e sondaggi di mercato, anche al campione, effettuati a cura e spese del gestore“. È un punto non ben meditato che andrebbe capovolto.
(1) Articolo 113-bis, dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 272/2004.
Articolo 113-bis, dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 272/2004.