Mentre uno veniva eletto presidente della Camera a larga maggioranza, l’altro veniva portato fuori di peso dai commessi del Senato perché protestava, dalla tribuna, contro la mancata assegnazione di seggi alla sua lista. Mentre il primo si trova sempre con facilità al centro del dibattito politico e culturale, il secondo deve sgolarsi per farsi ascoltare, di solito a colpi di scioperi della fame. I due si stimano, forse non si amano, ma oggi c’è qualcosa di più. Fausto potrebbe puntare a includere per-sino i suoi simpatizzanti, nel cantiere. Marco difende l’orto di casa e sostanzialmente diffida delle evoluzioni di una sinistra “radicale” che, fosse per lui, non avrebbe neanche diritto a chiamarsi così. «Abbiamo da cinquant’anni il sano monopolio di questa definizione e ora i media ce la scippano per attribuirla alla sinistra comunista», puntualizza. «Apprezzo gli sforzi di Bertinotti, che ora si dice radicale, non violento e non più anti-israeliano, ma è la sua cultura che va aggiornata e rivisitata, non la mia. I nostri dna sono totalmente, radicalmente diversi».
Eppure, «in un cantiere che punta a includere, non certo ad escludere», spiegano i bertinottiani, potrebbero entrare a buon diritto anche loro, i radicali, in futuro. Anche se declinata come sinistra libertaria, radicale e liberalsocialista. Perché anche se su politica economica e politica estera «le differenze sono profonde», su molti altri temi, «le battaglie comuni, da quella per l’amnistia e l’indulto alla difesa della laicità dello stato, dalla moratoria contro la pena di morte all’allargamento dei diritti civili, che non vuoi dire solo Dico ma anche diritto a una morte dignitosa, sono tante e la possibilità di farle insieme pure». Del resto, se il cantiere caro al presidente della Camera deve avere la capacità di vincere la sfida-competizione con la sinistra riformista, va immaginato come «un luogo aperto, dove chiunque vuole lottare per l’avanzamento del convivere civile è benvenuto». Radicali compresi. Bertinotti ha in qualche modo reso esplicita l’offerta l’altro giorno, alla presentazione del suo libro-intervista con Sergio Valzania, La città degli uomini, presente (e parlante) lo stesso Pannella, dicendo, con tono sornione, che «ai radicali abbiamo rubato tutto, dalla non violenza alla testata del giornale, Liberazione (già quotidiano radicale, nel 1973-74, diretto proprio da Pannella,
ndr), e continueremo a rubare». Pannella non ci sta e ribatte subito («in modo più secco da come è stato riportato dai resoconti», puntualizza ora): «via Fausto, non millantare capacità di furto che non hai e che con noi non sono mai riuscite». Del resto, dice al il Riformista, «stiamo parlando di beni immateriali, difficilmente sottraibili né temo di vedermeli scippare».
Pannella, però, diffida di Bertinotti, non ne ama le frequentazioni a 360 gradi, lo giudica «un pezzo del sistema». Nemmeno molto tempo fa lo bollò così: «è una bella orchidea di regime». Di certo non ne sopporta «le continue apparizioni nella terza Camera dello Stato, Porta a Porta: in cinque anni lui è c’è stato 69 volte, io 5, ho qui i dati del nostro centro di ascolto», puntualizza. Inoltre, gli rimprovera di aver accettato un unico faccia a faccia dai microfoni di Radio Radicale solo molti anni fa e di averlo poi rifiutato più volte, sotto elezioni. «Credo che siano stati i suoi a sconsigliarglielo. Del resto di me aveva paura anche Almirante». Sul piano dell’ara oratoria e della capacità di affabulazione, Pannella definisce Bertinotti «un dialettico, mentre io sono un dialogico, certo un uomo di bella e profonda cultura», ma pure «capace di perdersi in eleganti circonlocuzioni verbali».
Da Bertinotti, che di Pannella ammira le virtù da «autentico animale politico, il carisma e il modo con cui conduce le sue battaglie», si replica pacati che «il presidente preferiva confrontarsi con gli avversari, non con gli alleati, che si è speso moltissimo, come ci riconobbe anche Radio Radicale, perché i radicali entrassero a pieno titolo prima nella Gad, poi nell’Unione, che la frequentazione personale dei due a Strasburgo, quando erano entrambi europarlamentari, è stata molto positiva». Infine, si ricorda che da presidente della Camera Bertinotti ha ricevuto Spadaccia sulle carceri, la vedova Coscioni sull’eutanasia, a dimostrazione dell’attenzione e interesse per le battaglie radicali, oltre ad aderire alle marce per l’indulto ieri e per la moratoria della pena di morte oggi. Per non dire dei diritti civili. Forse per questo, oltre che per lontananza di modi di fare e di essere, Pannella è tranchant, nel rifiutarne l’abbraccio politico: «troppe le differenze tra di noi», ribadisce. Se Marco e Fausto non sono fatti per intendersi, chissà i loro elettorati.