Trattandosi di rifiuti non stupisce la «puzza» che circonda i milioni di euro buttati via dall’Ama, l’ex municipalizzata di Veltroni promossa a Spa e assurta a icona del disservizio e dello spreco capitolino. Secondo un dettagliatissimo video-dossier presentato dal capogruppo di An in Comune, Marco Marsilio, a fronte di un aumento del 16 per cento a famiglia (e del 30 a impresa) della bolletta sulla nettezza urbana – la famigerata Tari – l’Ama incasserebbe decine di milioni di euro per servizi mai resi e per acquistare cassonetti che si rivelano inutilizzabili nel giro di pochi giorni.
Spreco milionario Uno spreco di quattrini pazzesco. Leggere (e vedere) per credere: nel contratto di servizio sono previsti il lavaggio e la disinfezione dei cassonetti ogni 20 giorni, che diventano 15 tra maggio e settembre. Per effettuare il servizio – afferma il rapporto inviato alla Corte dei conti da An – Ama ha assicurato di aver acquistato 56 camion «lavacassonetti» spendendo 8.400.000 euro, aggiudicandosi così il contratto di servizio con il Campidoglio per 5 anni, per un corrispettivo di 25 milioni di euro. Per accertarsi del corretto svolgimento dei compiti assegnati ad Ama, il Comune nomina anche un organismo di controllo con cinque componenti, per un costo ulteriore di 2 milioni 350mila euro. Evidentemente spesi invano, considerato che il lavaggio dei cassonetti i romani non l’hanno praticamente mai visto.
Macchine arrugginite Guardando le immagini, più che leggendo le cifre, si ha la riprova che questi costosi lavacassonetti non sono al lavoro per strada ma arrugginiscono nei depositi dell’Ama. A Ponte Malnome, per esempio, ce n’è uno che ha percorso appena 111 chilometri. Un altro, comprato per 281 milioni di lire, ha marciato 2mila chilometri e giace impolverato e non funzionante: «Sta qui da ’na vita – afferma un dipendente nel video – queste macchine ormai so’ dismesse, non funzionano, non l’hanno mai riparate». Altri «pulitori» di cassonetti se ne stanno inoperosi a Rocca Cencia: hanno in media sette anni di vita, e avrebbero dovuto camminare per 35mila chilometri l’anno ma la percorrenza è di molto inferiore agli almeno 200mila chilometri necessari a provarne l’utilizzo. Quando va bene i contachilometri ne segnano 50mila. Ma c’è addirittura un camion che si è fermato dopo 80 chilometri, con una media di 982 metri al mese.
Spiazzato quanto imbarazzato, il presidente dell’Ama Giovanni Hermanin ha risposto parlando di cifre «inesatte» e «inventate»: per lui i lavacassonetti sarebbero costati un milione e 800mila euro, non 8 milioni. Ma il contratto di servizio, approvato dalla giunta Veltroni, parla chiaro: l’Ama nel 2002 dichiarava di possedere 30 lavacassonetti a caricamento posteriore del costo di 278 milioni di lire l’una e 26 a caricamento laterale del costo di 281 milioni di lire. Tradotto in euro, i 15 miliardi e 646 milioni di lire del valore del parco mezzi sono, appunto, 8 milioni di euro.
La beffa dei nuovi cassonetti Altro imbarazzante capitolo è quello relativo ai «nuovi cassonetti». Nel luglio del 2005 l’Ama indice una gara per la fornitura e il posizionamento di 30mila cassonetti di nuova generazione. L’importo del bando è di 21 milioni di euro, per la gioia del sindaco sempre attento all’immagine della città (e sua). «Non si vedranno più – dice Veltroni – quegli oggetti dal verde imbarazzante ma oggetti dal design moderno che si mimetizzeranno con la città». Così mimetici che in molti municipi non si sono ancora visti, e laddove vi sono risultano già malconci per una debolezza strutturale sulla copertura. Il tocco surreale, però, è il destino dei «vecchi» cassonetti: l’Ama li «ospita» in un deposito di Castel Giubileo, paga il proprietario del terreno e stipendia una cooperativa per ripararli anche se non li utilizzerà più.
La sua Africa Altro capitolo doloroso per la Spa dell’immondizia, e per la stessa giunta, è quello delle avventure internazionali di Ama. In particolare l’appalto vinto a Dakar, in Senegal, s’è dimostrato un disastro sia economico che di immagine, concluso con una precipitosa fuga dal Paese sommerso dall’immondizia e dal diffondersi di epidemie. Una pioggia d’accuse per presunte inadempienze contrattuali, violazioni dei diritti dei lavoratori e debiti con i fornitori, porta la società ad alzare le braccia e a sfilarsi dal rovinoso business. Altri problemi arrivano dalla Colombia, dove nel 2002 l’Ama perde una gara a cui partecipava insieme a soci locali: uno di questi la ritiene responsabile della «sconfitta» e la cita in giudizio. L’azienda romana viene condannata da un collegio arbitrale di Bogotà per «condotta gravemente colposa». Scivolone mediatico anche per una gara a Teheran. Il 23 gennaio 2006 il presidente di Ama International, Massimo Tabacchiera, annuncia la partecipazione a una gara in Iran «per ristrutturare un impianto di compostaggio e costruirne uno nuovo».
Walter si smentisce La spedizione nella patria della «Bomba Islamica» viene criticata come inopportuna dalla Cdl. Veltroni capisce l’antifona e fa parlare il coordinatore della sua maggioranza per smentire lo sbarco iraniano dell’azienda controllata dal Campidoglio. A seguire una nota dell’Ama smentisce il suo stesso presidente: Teheran non ci interessa. Le perdite di Ama International sono prossime a raggiungere quota 9,5 milioni di euro, e Veltroni vuole evitare altre figuracce mondiali. Così quando Ama International vince un appalto multimilionario ad Abu Dhabi, Tabacchiera non sa che pesci pigliare. E in commissione Bilancio del Comune, il presidente ammette candidamente di essere in imbarazzo per il diktat del sindaco di interrompere le «avventure estere». Ha scritto a Veltroni, spiega, per chiedergli se sfilarsi o no dal business negli Emirati. Che avrà risposto Walter l’Africano?