«Giovanni è morto tra sofferenze atroci, con il respiratore ancora attaccato». Marco Cappato eurodeputato radicale esegretario dell’Associazione Luca Coscioni, parla con voce concitata: è ad Alghero, a casa di Giovanni Nuvoli, 53 anni, da sette ammalato di sclerosi laterale amiotrofica. «L’hanno fatto morire come un animale di fame e di sete -denuncia – dopo otto giorni d’agonia e di tortura».
Cappato ricostruisce le ultime ore di Nuvoli: «Quando il medico anestesista radicale, Tommaso Ciacca, su richiesta reiterata di Giovanni e dopo diverse visite di numerosi specialisti si recò a casa sua per praticare il distacco del respiratore sotto sedazione, venne fermato dalle forze dell’ordine, su decisione della Procura e del Tribunale di Sassari. Giovanni era disperato. L’Italia dei fautori della “buona tortura ” contro la “buona morte” applaudì, dal giornale della Conferenza Episcopale Italiana fino alla stampa locale. Soltanto una settimana dopo si sono dovuti arrendere al coraggio e alla forza di un uomo che aveva già sopportato oltre quanto umanamente sopportabile e che aveva perciò deciso di interrompere – fino alle estreme conseguenze – l’assunzione di cibo e di acqua».
Secondo Cappato «lo Stato ha obbligato Giovanni a cominciare lo sciopero della fame e della sete, il procuratore e l’Asl lo sapevano e ogni giorno passava la polizia a controllare le cartelle cliniche». Lo sciopero era iniziato lunedì scorso, «per tre giorni Giovanni è rimasto senza sedazione, tormentato dai crampi. Poi mercoledì hanno cominciato a sedarlo».
«Hanno dunque preferito che morisse così – sbotta Cappato – dopo otto giorni di agonia e torture. Per questo noi Radicali saremo ora ancora più fermi nel chiedere una legge sul testamento biologico e una legalizzazioni dell’eutanasia. Oggi Giovanni Nuvoli riposa in pace. Ma questo prezzo di infame violenza è responsabilità dello Stato italiano, delle azioni e omissioni di questi giorni e mesi».
«Giovanni non chiedeva l’eutanasia – spiega Tommaso Ciacca, l’anestesista che assisteva Nuovoli – ma chiedeva per sé e per tanti altri malati di questo Paese la sospensione di una terapia che per lui provocava indicibili sofferenze. E lo faceva nella piena consapevolezza». La sua battaglia, ha spiegato il medico, era perché venissero «rispettate le sue volontà» e aveva capito che «così come ha affermato il giudice che ha prosciolto Mario Riccio e lo stesso presidente dell’ordine dei medici, la possibilità che ciò avvenisse erano concrete».
«Per avere diritto alla propria vita, alla restituzione del proprio corpo e a una morte naturale – afferma il leader radicale Marco Pannella – Giovanni ha voluto farlo esercitando con grande determinazione la pratica non violenta. Così la nonviolenza si è rivelata più forte ancora una volta della ferocia di Stato, in primo luogo di quello della Città del vaticano e di un vertice della Chiesa che è a livello delle peggiori tradizioni fondamentaliste e controriformiste».