Caro direttore, Eugenio Scalfari ha ragione: l’esasperazione della discussione pubblica in materia di politica fiscale è la cartina di tornasole di una fase di difficoltà nei rapporti fra istituzioni e cittadini, fra politica e Paese. Luigi Einaudi, nel 1945, scrisse che “gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché pagano; e se quella ragione non è spiegata chiaramente gridano all’ingiustizia”.
Dagli anni ’90 la pressione fiscale italiana ha raggiunto livelli europei. In alcuni anni è diventata superiore alla media dell’Unione.
È aumentata così la percezione di un divario tra i sacrifici richiesti e le prestazioni fornite dallo Stato. Esse permettono ai cittadini italiani di fruire di servizi pubblici, come sanità e istruzione, ben più universali e meno costosi di quelli di altri paesi. Ma un divario esiste e dipende dal servizio di un pesante debito pubblico, i cui interessi si mangiano ogni anno quasi cinque punti di Pil. Ne consegue che se non si incide qui – riducendo il debito e riqualificando la spesa pubblica – il cittadino continuerà ad avere difficoltà a capire se quanto paga è il giusto.
Quella parte dell’opposizione che incita allo sciopero fiscale non è solo composta da “persone che hanno governato per cinque anni con la più ampia maggioranza della storia della Repubblica senza riuscire nemmeno ad abbassare l’Irap”, com’è stato ricordato da Luca Montezemolo. È composta da chi, in cinque anni di governo, ha aumentato di due punti e mezzo di Pil la spesa corrente primaria, più di 30 mld di Euro, senza neppure avviare quella riforma del welfare per i giovani che ha visto invece un importante primo passo nell’accordo di luglio fra Governo Prodi e Sindacati. E’ il mediocre funzionamento dello Stato una delle eredità più pesanti del passato remoto e recente. Non si possono aspettare decenni per un ponte o un’autostrada. E’ la competitività italiana a rimetterci.
Quindi, è indispensabile che il Partito Democratico assuma un preciso vincolo: ogni euro di nuova spesa corrente dovrà essere ricavato da un risparmio. Così proseguendo negli anni – e con un buon ritmo di crescita – la spesa corrente primaria potrà essere stabilizzata, in rapporto al Pil, poco al di sotto delle dimensioni attuali. Come? Abbandonando la logica dei tagli orizzontali e giustificando ogni spesa di ogni apparato pubblico dal primo all’ultimo Euro. Poi, misurazione dei risultati, a partire dai dirigenti, premio al merito, penalizzazione del disimpegno; ristrutturazioni e razionalizzazioni nella pubblica amministrazione; eliminazione delle tante duplicazioni e sovrapposizioni di funzioni e uffici pubblici oggi esistenti. In questo modo potranno essere finanziate quelle politiche per la qualità e la mobilità sociale – un sistema universale di ammortizzatori sociali, gli asili nido, la non autosufficienza – che sono indispensabili per lo sviluppo e la coesione.
Le risorse per la spesa in conto capitale? Anche qui non potremo contare su aumenti tributari. Occorre sempre più ricorrere a schemi di finanziamento e di gestione attrattivi per capitali privati in cerca di impieghi poco rischiosi e, per la parte pubblica, a nuove politiche del patrimonio. O si gestisce questo patrimonio in modo da ricavarne le risorse necessarie per pagare una quota significativa degli interessi sul debito. O si adottano soluzioni per un’alienazione parziale e selettiva di questo patrimonio, garantendo la piena tutela dei beni culturali e ambientali. In entrambi i casi, è necessaria un’intesa tra Stato centrale ed Autonomie regionali e locali. Il centro-destra si è mosso su una linea opposta: ha finanziato nuova spesa permanente con i proventi una tantum delle dismissioni, non ha ricercato il consenso degli enti locali, ha alienato “all’ingrosso” e non selettivamente. In ogni caso, hic Rhodus: senza chiamare l’attivo patrimoniale a concorrere alla riduzione del debito, sarà quasi impossibile quel rapido salto negli investimenti materiali (strade, porti, ferrovie, aeroporti, metropolitane) e immateriali (la formazione, e cioè i cervelli dei nostri ragazzi) che solo può far tornare a crescere la produttività del sistema.
Ecco allora, nella strategia in dieci mosse che penso per il Partito Democratico, il primo impegno. Se saremo in grado di seguire gli indirizzi appena descritti su spesa e debito, accompagnandoli a quella radicale azione di riduzione dei costi della politica e di robusta iniezione di criteri meritocratici nella gestione di tutti i pubblici servizi, potremo credibilmente assumere l’impegno a ridurre la pressione fiscale, stabilizzandola nel tempo almeno due punti di Pil sotto il livello del 2006.
Secondo, a mutare deve essere la composizione interna della pressione fiscale, che oggi è sperequata a svantaggio dei contribuenti leali e a favore di quelli meno onesti. I dati delle entrate 2006 e 2007 ci dicono che – finita l’era dei condoni – il Paese si è messo sulla strada giusta: l’area dell’evasione resta molto grande, ma ha cominciato a ridursi. Merito del Governo Prodi e, in particolare, del Vice Ministro Visco. È arrivato il momento che aspettavamo da tempo: quello di restituire ai contribuenti leali – lavoratori dipendenti, autonomi, famiglie e imprese – tutto quello che si ricava dal successo nella lotta all’evasione.
Terzo, un nuovo patto fiscale si scrive non solo con i controlli severi, ma anche con la semplificazione. Un esempio concreto sarebbe il varo di un regime semplificato per le microimprese (fino a 25-30 mila Euro di ricavi), 800 mila piccoli contribuenti per i quali è sensato riunificare tutti gli adempimenti in un solo atto. E’ indispensabile poi semplificare i pagamenti (fisco telematico per tutti) e promuovere tutte le forme di ravvedimento operoso.
Quarto, un importante elemento di fiducia è l’impegno dello Stato alla certezza delle regole fiscali: mai e poi mai, per nessuna ragione, norme fiscali con effetti retroattivi.
Quinto, il tema del trattamento fiscale della famiglia è legato al nuovo patto intergenerazionale di cui ho parlato al Lingotto, basato sul contrasto di tutte le nuove povertà: un capitolo che considero un fronte essenziale per il Partito Democratico (lotta al precariato, tutele sociali per i giovani, casa, aiuto alle famiglie con bambini). Indirizzi in questo senso sono emersi nella Conferenza sulla famiglia di Firenze, condotta con competenza dal Ministro Bindi. Siamo nelle condizioni, nell’arco di pochi anni, di varare un’ambiziosa riforma dei sistemi di sostegno fiscale alle famiglie, con la costruzione di un unico istituto che riunifichi detrazioni e assegni familiari. Una vera e propria “dote fiscale” per i figli e per la famiglia, che riduce automaticamente l’imposta sui redditi e, per coloro che stanno sotto i livelli minimi di imponibile, diventa un'”imposta negativa”, e cioè un contributo monetario al nucleo familiare da parte dello Stato. Si tratterebbe di un grande passo avanti nell’equità e nella lotta alla povertà: 2.500 euro per ogni figlio (con cifre declinanti all’aumentare del reddito familiare) corrisposti tramite detrazione e, per l’eventuale differenza, se l’imposta da pagare non è abbastanza alta, con un trasferimento monetario diretto.
Sesto, mi sembra ottima l’idea di uno scambio tra minori incentivi e contributi alle imprese e minori imposte: una strada che può portare a ridurre di cinque punti l’aliquota dell’imposta sulle società.
Settimo, il sistema di ammortamento fiscale degli investimenti va aggiornato al nuovo contesto tecnologico: oggi l’obsolescenza delle macchine è veloce e il Paese ha tutto l’interesse a sostenere cicli accelerati di investimenti delle imprese. Anche sulle spese per ricerca e sviluppo occorre studiare proposte innovative, ad esempio schemi per la loro deducibilità anticipata.
Ottavo, un accorto uso della leva fiscale deve favorire
anche i redditi da lavoro dipendente. Va in questa direzione l’accordo di luglio, che consegna alla contrattazione decentrata spazi più ampi per generare aumenti di produttività e per redistribuirne i vantaggi ai lavoratori, contribuendo così alla soluzione di quella questione salariale che si è da tempo riaperta. Andrà prevista una graduale restituzione del “drenaggio fiscale”, anche per favorire lo svolgimento della futura tornata contrattuale.
Nono, il Governo ha avviato, riducendo il cuneo fiscale, un intervento sull’Irap, venendo incontro a richieste disattese dal precedente esecutivo. Nell’immediato, si è fatto davvero molto. Nel lungo periodo, mi chiedo se non sia possibile proseguire su questa strada, ampliando l’area della deducibilità dell’Irap e definendo misure compensative per una sanità risanata e affidata a manager scelti con criteri obiettivi.
Decimo, il Partito Democratico dovrà impegnarsi per un federalismo moderno e solidale. Mentre la precedente legislatura è passata invano, in un anno il Governo ha messo a disposizione del Parlamento un pacchetto di possibili riforme: codice delle autonomie, federalismo fiscale, riforma delle Conferenze inter-istituzionali. E’ l’occasione per semplificare l’azione pubblica nel nostro Paese, per definire “chi fa cosa” in un sistema di governance multilivello che oggi è spesso bloccato dai veti incrociati.
La lotta alle povertà vecchie e nuove, la creazione di opportunità per le imprese, la crescita e la più equa distribuzione della ricchezza sono tutte facce della stessa medaglia. Il giorno in cui il centrosinistra italiano avrà accettato questa sfida, sarà il giorno in cui potrà aspirare a diventare maggioritario.